Il grande tempio di Borobudur, fra sacro e (tanto) profano

Il grande tempio di Borobudur è una delle più straordinarie opere dell’ingegno umano, ma non tutti lo considerano allo stesso modo. Per i turisti è una delle 7 meraviglie del mondo, un luogo da vedere assolutamente almeno una volta nella vita. Per la gente del luogo, al contrario, rappresenta una specie di albero della cuccagna a cui attingere il più possibile. Il che è quantomeno giustificabile, visto che la stragrande maggiornanza di essi è di religione islamica mentre il tempio è indiscutibilmente buddista.

Borobudur rappresenta, quindi, il grande catalizzatore di quasi tutti gli interessi economici, sociali e commerciali di Yogjiakarta. Qualsiasi attività gira attorno ad esso, dai trasporti privati alla vendita di noccioline, ed è difficile non rendersene conto, non appena pagato il salatissimo biglietto d’ingresso. Tutto intorno ferve un’attività commerciale che non ha eguali se non in pochi altri famosi mercati del mondo. E’ in vendita qualsiasi cosa possa interessare l’occhio distratto del turista in transito: magliette, cappelli, ombrellini da sole, statuette di Budda e di altri spiriti, oggetti per la toletta personale, pseudo-batik, sedicenti opere di antico artigianato locale, lavorazioni in cocco, ecc..

Assalto dei venditori ambulanti

Anche la più semplice delle operazioni, ovvero avviarsi verso il tempio, è una impresa dai contorni titanici. Ogni passaggio è intasato da bancarelle, banchetti, chioschi e affini, che riducono lo spazio transitabile e costringono i visitatori a imbottigliarsi lungo stretti corridoi molto affollati. Inoltre, i venditori ambulanti, alcuni dei quali con ogni evidenza improvvisati, ti assaltano ad ogni angolo della strada, ti circondano, ti soffocano, ti assillano con le loro richieste di acquistare questo o quell’oggetto inutile, a detta loro dall’inestimabile valore.

Districarsene è difficile, lo ammetto, ma non impossibile. Acquistare qualcosa, qualunque cosa, non è una strategia ragionevole. Aver concesso a qualcuno la propria attenzione non fa che incoraggiare tutti gli altri a pretendere lo stesso trattamento. Quindi il consiglio è: tirar dritto e non dare retta a nessuno, puntando esclusivamente sulla meta prefissata, cioè un lungo viale alberato che conduce direttamente al tempio.

Ingresso al tempio di Borobudur
Ingresso al tempio di Borobudur

I tempio, da lontano

Questo grande viale, già di per sè è un primo momento di emozione pura. A prima vista le chiome degli alberi – non sufficientemente potati – nascondono cosa si erge poco più in là. Man mano che si procede, in mezzo alla selva di ombrellini da sole e torme di turisti locali in gita, inizia a intravedersi una forma grigia, massiccia, vasta ma non eccessivamente elevata. Ancora qualche passo e la forma acquista anche un aspetto riconoscibile: è il grande tempio di Borobudur, finalmente, tante volte ammirato in fotografia ma sempre da posizioni più vantaggiose di quella in cui ci si trova adesso. Dal basso, infatti, l’edificio sembra più una montagna ricamata che una costruzione umana.

Gli ultimi metri liberano la vista da ogni impedimento e finalmente il tempio appare in tutta la sua maestosità. E devo dire che è davvero notevole. La scalinata finale, in particolare, dona al visitatore estasiato una visione prospettica che sarebbe un delitto non immortalare subito con uno scatto fotografico. Il che produce, come è ovvio, un assembramento di gente tale da impedire qualsiasi ripresa decente… Ma tant’è, ormai siamo ai piedi del magnifico monumento e non resta altro che affrontare la scalata.

Primo impatto con il tempio
Primo impatto con il tempio di Borobudur

Non è mia intenzione tediare oltre il lettore con descrizioni storico-tecnico-artistico-religiose di questo tempio: non ne sono all’altezza. Rimando ai siti più autorevoli e competenti per una maggiore comprensione del monumento da tutti i punti di vista citati prima. Io mi limiterò a dare qualche suggerimento su come visitare il monumento allo scopo di vedere quasi tutto ed evitare, al contempo, di trascurare qualche dettaglio interessante.

Scalare i dieci livelli del tempio di Borobudur

Le caratteristiche del tempio sono la sua forma a livelli sovrapposti (dieci); i bassorilievi che raccontano le varie fasi della storia del Budda; le 500 statue del Budda medesimo, disseminate un po’ su tutti gli strati; le celebri campane bucate di pietra che si trovano sulla sommità dell’edificio. Per scoprire questi aspetti occorre munirsi di molta pazienza e fare affidamento sulle proprie gambe: l’ascesa ai vari livelli, infatti, non è cosa da poco, specie se la giornata è calda e assolata come quella che capitò a noi, nell’agosto del 2016.

Il primo livello del tempio
Il primo livello del tempio di Borobudur

Le dieci terrazze, disposte in forma grossomodo quadrata una sull’altra, sono raggiungibili tramite 4 strette scalinate disposte su ogni lato. Su queste scalinate si produce il massimo ingorgo possibile: in certi momenti bisogna addirittura aspettare il proprio turno prima di salire (o scendere). Consiglio di non approcciare la salita dalla scalinata frontale, quella che si erge davanti al viale alberato: è la via di accesso più affollata, forse anche perché la maggioranza delle persone ignora, a quello stadio della visita, che ne esistono altre tre. Io suggerisco di girare su uno dei due lati adiacenti e provare a scalare il tempio da lì. Sicuramente troverete molta meno gente.

Gli scalini sono ripidi e stretti, come in tutti i templi induisti e buddisti. Sembrano essere stati scolpiti per dei piedi minuscoli, e comunque sicuramente sotto la media dei nostri piedoni occidentali. Molti degli ingorghi che si incontrano, infatti, sono dovuti al disagio di alcuni turisti nell’affrontare adeguatamente spazi ridotti e altezze piuttosto significative.

I bassorilievi del tempio di Borobudur
I bassorilievi del tempio di Borobudur

Ogni livello meriterebbe una visita a sè. La serie di bassorilievi che ne ricopre pareti e corridoi interni è davvero interessante… se ne capissimo qualcosa, beninteso. Le sculture narrano grossomodo la vita del Budda, dai suoi inizi mondani fino all’illuminazione finale. Ma incaponirsi nel cercare di afferrare, qua e là, qualche indizio su un episodio particolare, è vano. Suggerisco di lasciarsi andare alla semplice, inconsapevole, ottusa osservazione dei profani, soffermandosi su qualche scena particolarmente attraente e tralasciando ciò che non stimola la nostra attenzione. E sopratutto, evitare di farsi troppe domande.

Ogni tanto, dando uno sguardo sul vuoto sottostante, si intravedono delle statue del Budda accovacciato. Molte di loro sono state ricostruite di sana pianta perché andate letteralmente in briciole in seguito a uno dei tanti terremoti che affliggono la zona. Parecchi non hanno la testa, e non a causa di un disastro naturale, ma per il semplice motivo che è stata tagliata dai fanatici religiosi di ogni epoca. Ce ne sono circa 500, a quanto pare, e non tutte visibili ad una prima occhiata. Il colore del materiale con cui sono state costruite si confonde in maniera straordinaria con il resto del sito.

I famosi stupa con il Merapi sullo sfondo
I famosi stupa con il Merapi sullo sfondo

Stupa con vulcano in background

Infine si arriva alla sommità del tempio, che ospita una selva di stupa bucherellati a forma di campana. E’ la meta finale, per molti visitatori, perché da lassù è possibile osservare alcuni scorci del tempio davvero affascinanti. Ma anche il panorama ha la sua attrattiva, indubbiamente. Da una parte, infatti, si estende una pianura verdissima e boscosa, solo in alcuni tratti tappezzata da qualche raro insediamento agricolo umano. Dall’altra, nelle giornate più limpide, ecco che si intravede l’enorme profilo del Merapi, il vulcano più attivo e pericoloso dell’isola di Giava. Il resposabile principale di quasi tutte le tragedie che hanno colpito questa parte del mondo negli ultimi tre secoli.

Passeggiare lungo gli stretti corridoi lasciati liberi dagli stupa e scattare decine di foto tra di essi nelle pose più improbabili è indubbiamente l’occupazione più gradita. I turisti – in qualche modo – la considerano una sorta di giusta ricompensa dopo le fatiche per giungere fin lassù. Malgrado siano esposti cartelli di divieto di ogni tipo, la maggioranza di essi – occidentali inclusi – li ignorano regolarmente, arrampicandosi sugli stupa, sporgendosi pericolosamente oltre i ripiani, scalando qualche masso pericolante pur di farsi un selfie accanto al Budda di turno. Tuttavia, dopo qualche minuto di tale frenetica e irresponsabile attività, il cervello inizia a bollire e l’oppressione dovuta al caldo umido si fa insopportabile.

Il nostro gruppo all'ombra di un ficus
Il nostro gruppo all’ombra di un ficus

In un istante ti rendi conto del perché la maggioranza dei turisti orientali che ti circonda possiede un ombrellino. E capisci che restare ancora lassù, senza alcuna copertura se non il proprio quasi inutile berretto, è un rischio inutile. Occorre mettersi subito al riparo, e quale miglior luogo se non l’ombra di un bellissimo ficus che si trova poco distante? Ai piedi del tempio, lato destro guardandolo dall’ingresso, si nota infatti un rigoglioso boschetto di alberi secolari. E’ la meta finale della visita al tempio di Borobudur, perché quei magnifici ficus non solo donano la tanto agognata ombra di cui abbiamo necessità impellente, ma anche la visione più “pulita”, priva di turisti, del monumento.

Il grande tempio di Borobudur visto da dietro
Il grande tempio di Borobudur visto da dietro

La migliore visione del tempio… da dietro

Ed ecco l’immagine che da lì è possibile scattare del tempio di Borobudur. L’aspetto di montagna “sacra” è maggiormente comprensibile quando lo si guarda da questa prospettiva. E si apprezza ulteriormente – semmai ce ne fosse bisogno – la grande capacità costruttiva e artistica degli antichi architetti indonesiani.

Una volta terminata la visita occorre seguire le indicazioni per trovare l’uscita. Che sta esattamente dalla parte opposta rispetto all’entrata. E anche qui ci si trova immediatamente in un dedalo di stradine, disegnate molto ingegnosamente a zig-zag, letteralmente intasate di attività commerciali di ogni tipo. Il percorso è straordinariamente lungo e tortuoso. E’ come se si volesse tentare di spremere quanto più possibile dal turista mentre si avvia ad abbandonare l’area. Ogni curva, ogni corridoio, è presidiato da un numero crescente di venditori che via via che si procede verso l’uscita si fanno sempre più pressanti e molesti.

Ma è l’ultima fatica da compiere a Borobudur; una volta raggiunta la strada e il proprio driver ci si può considerare al sicuro. A meno che non si venga portati, a propria insaputa, in un negozio di batik poco distante… Ma sono i rischi del mestiere del viaggiatore.

 

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