Il Merapi, il serial killer dell’isola di Giava

Un killer silenzioso e paziente incombe sull’isola di Giava. E’ il Merapi, uno dei vulcani più prolifici, imprevedibili e letali della terra. Capace di restare addormentato per anni, anche decenni, e poi svegliarsi e colpire con rovinosa precisione, causando centinaia di vittime e distruzione pressoché totale. Potremmo definirlo un killer seriale, dal momento che le sue imprese sono simili a quelle di un assassino che ogni tanto torna a colpire nell’ombra, subdolo e feroce. E dopo ogni eruzione torna ad assopirsi, restando comuque in uno stato simile al dormiveglia, come un orco che dorme con un occhio chiuso e russa ogni tanto…

Il vulcano Merapi, in una rara giornata di sole
Il vulcano Merapi, in una rara giornata di sole

Questo è il Merapi. il vulcano che sovrasta la città di Yogyakarta e la tiene in ostaggio del suo mutevole umore. Non si contano infatti le devastazioni causate da questo mostro della porta accanto. Colate terrificanti, terremoti, esplosioni, nubi di ceneri… ogni volta il Merapi è capace di una nuova, terribile performance che lascia il segno, e gli abitanti di Giava lo sanno bene.

I disastri causati dal Merapi hanno alimentato una industria turistica piuttosto fiorente. Che consiste nell’abbordare il cliente, in genere fuori dagli alberghi o all’aeroporto, quando cioè è meno preparato a difendersi dall’assalto; descrivergli in brevi frasi sminuzzate e semi-incomprensibili le meraviglie naturali di questo vulcano, con l’aiuto di foto sbiadite ed evidentemente ritoccate; ficcarlo nel proprio van con aria condizionata a -10° e scarrozzarlo in lungo e in largo per destinazioni che solo marginalmente hanno qualcosa a che vedere con il famoso vulcano. Ed è ciò che è successo a noi.

Il giovane taxista che ci ha accompagnato sul Merapi
Il giovane taxista che ci ha accompagnato sul Merapi

Sbucati fuori dall’aeroporto di Yogyakarta, abbiamo cercato un taxi locale per raggiungere il nostro albergo. Il proprietario, che stazionava nel parcheggio, possedeva un bel pulmino a 7 posti di cui andava giustamente orgoglioso. Subito ci ha fatto la proposta indecente, su cui noi, ormai avvezzi a questo tipo di approcci, francamente contavamo. Ci avrebbe scarrozzato tutto il giorno ovunque volessimo, compresi i due luoghi simbolo di Jogya (Borobudur e Prambanam) e il Merapi, il famoso vulcano di Giava.

L’idea di trascorrere una intera giornata accompagnati da un giovane volenteroso e poco pretenzioso, in un’auto moderna e con l’aria condizionata, ci ha stuzzicato alquanto. D’altronde, una gita al vulcano è sempre una escursione allettante. Abbiamo accettato le sue condizioni, senza quasi contrattare, aggiungendo anche una escursione per il giorno dopo per vedere delle grotte attraversate da un fiume. Tutto a posto. Non ci restava che iniziare il tour.

Il primo passaggio riguardava Borobudur, di cui ho già parlato. Subito dopo, mentre ancora eravamo estasiati per lo spettacolo appena visto, ci siamo trovati a percorrere un’area collinare caratterizzata da alberi bassi, radi cespugli e qualche piantagione di papaya. Il terreno s’è fatto più impervio, dal che ci siamo accorti che stavamo salendo lungo le pendici di una montagna vastissima. Era il Merapi; cosa che è stata immediatamente confermata dall’ingresso nell’omonima riserva, luogo in cui avremmo dovuto noleggiare un fuoristrada per proseguire l’ascesa.

Questa area fino a qualche anno prima era abitata dall’uomo. Qui sorgevano fattorie, piccoli villaggi, vasti campi coltivati. Oggi non c’è più niente, a parte la lava solidificata, qualche pianta che è tornata a fare capolino nel terreno, e innumerevoli vestigia dei disastri procurati dal Merapi in passato: case diroccate, enormi colate, muri di ceneri solidificate, suppellettili fuse, auto accartocciate.

D’altronde, che ci trovassimo di fronte ad un vero assassino seriale, non c’erano dubbi. La storia recente di questo vulcano e le sue caratteristiche fisiche, chimiche e morfologiche parlano chiaro. E’ classificato infatti come il vulcano più attivo del mondo in zone ad alta concentrazione umana. Non sorprende, quindi, che ogni volta che si sveglia, o semplicemente tossisce, causi qualche vittima. L’ultima devastazione di notevoli dimensioni è datata 2010 e ha provocato centinaia di morti e la cancellazione di intere aree abitate. Infine, è il vulcano che ha generato in tempi recenti la maggior quantità di nubi ardenti in tutto il globo. Se si pensa un attimo a cosa possono causare queste nubi (vedi Pompei) allora si capisce perché il Merapi è classificato tra i vulcani più pericolosi che esistano.

L'ingresso della riserva del Merapi
L’ingresso della riserva del Merapi

Il tour all’interno della riserva prosegue a bordo di vecchi fuoristrada capaci di percorrere sentieri decisamente impervi. La prima tappa, la più sconvolgente, riguarda la visita ai resti di un insediamento umano distrutto fra le due eruzioni del 2006 e del 2010. Lo spettacolo è impressionante. Rimangono pochi muri ancora in piedi di quelle che dovevano essere un tempo case e fattorie rigogliose; dappertutto sono sparsi enormi massi di roccia lavica, sparati dal vulcano e atterrati quaggiù, si può immaginare con quali conseguenze.

Una casa diroccata sopravvissuta all'ultima eruzione del Merapi
Una casa diroccata sopravvissuta all’ultima eruzione del Merapi

All’interno di un edificio meno compromesso è stata allestita addirittura una piccola mostra fotografica e una esposizione di oggetti di uso comune. Sia le foto che i resti di quegli oggetti testimoniano la vastità di una tragedia che, all’epoca del mio viaggio in Indonesia, era ancora piuttosto recente.

Stoviglie fuse dal calore della lava
Stoviglie fuse dal calore della lava

Impressionati le suppellettili che sono state investite dalla colata lavica. Le pentole e stoviglie di metallo sono ridotte a forme indistinte, collassate su se stesse e fuse una all’altra. In un angolo è stato sistemato uno scheletro integro, del tutto simile a quello di qualche animale primitivo appena tirato fuori da uno strato preistorico. Invece è semplicemente lo scheletro di una vacca, sopresa dalla colata e immediatamente arsa viva…

La tappa successiva è un vasto altipiano dove la strada si interrompe. Da qui in avanti non c’è quasi più niente, perché ci troviamo in pratica nella “zona morta” del vulcano, quella dove si riversano quasi sempre tutte le colate laviche. I turisti, una volta giunti quassù, s’intestardiscono nel cercare qualche modo per continuare l’ascesa a piedi. Ma come si vede dalla immagine principale di questo post, si tratta di una impresa impossibile: il vulcano è lì, davanti a noi, avvolto perennemente dalle nubi e dalle sue fumate bianche, ma non è proprio a portata di mano… I più coraggiosi  – o incoscienti – tentano di proseguire in direzione del cono ma i ranger del parco li dissuadono abbastanza rudemente.

Un canalone scavato nella cenere solidificata
Un canalone scavato nella cenere solidificata

Più interessante, a mio modo di vedere, è dare un’occhiata ai vasti canaloni di cenere solidificata che si sono creati nel corso dei millenni tra colate piroplastiche e nubi di ceneri ardenti. Questi enormi canyon, prodotti dall’accumulo di materiale misto, come si vede in foto, oggi vengono continuamente scavati, allargati, puntellati nel tentativo di creare delle vie di fuga naturali alle colate laviche successive. E’ la stessa idea che ha permesso ai geologi italiani di tenere sotto controllo l’attività vulcanica dell’Etna: non è escluso che gli esperti indonesiani ne abbiamo tenuto conto – come del resto hanno fatto anche i giapponesi.

Questi impressionanti strapiombi testimoniamo la potenza eruttiva del Merapi e quanta roba può gettar fuori dalle sue viscere in un tempo relativamente breve. I più esperti riusciranno sicuramente a leggere tra le pieghe del terreno la storia delle colate che si sono succedute nel tempo. Per gli altri, più profani, resta comunque l’emozione di osservare quanto è implacabile – e magnifica allo stesso tempo – la natura quando ci si mette…

 

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