Gli orologi falsi di Chinatown

E’ inutile negarlo: uno degli oggetti più desiderati, ricercati, contrattati a Bangkok – e nel resto della Thailandia-  è sempre stato l’orologio falso. Ne parlo al passato perché negli ultimi tempi il governo ha cercato di contrastare ogni tipo di smercio illegale, tanto da far (quasi) sparire orologi, borse, cinture, scarpe e vestiti dai banchi dei più famosi mercati thailandesi. Ma si sa, nessuno si è mai fermato perché una cosa è proibita. E il commercio di roba contraffatta non si sottrae alla regola. Insomma, malgrado ogni sforzo per arginare il fenomeno, i prodotti falsi continuano ad alimentare un mercato che affiora sporadicamente in qualche bancarella o negozietto, ma è fiorente quanto non mai, vive di canali propri, sottotraccia, e fa guadagnare un sacco di soldi. Oggi come ieri.

Nel 2005, quando mi recai in Thailandia la prima volta, scoprii un mondo che aveva dell’insensato. Tutti i mercati avevano ampie sezioni di attività dedite al commercio di prodotti falsi. A Chiang Mai, ricordo, c’era una intera via del mercato notturno specializzato nella vendita di vestiti di marca, borse e pelletteria, scarpe da ginnastica di ultimo grido, t-shirt e polo prestigiose… e ovviamente orologi dei più famosi (e costosi) brand internazionali. Bastavano pochi spiccioli, letteralmente, per aggiudicarsi una quasi autentica Lacoste o una introvabile borsa Prada. La merce esposta, peraltro, era solo la punta dell’iceberg di quanto effettivamente offerto. E infatti molti negozianti avevano allestito enormi cataloghi plastificati con le foto di tutta la mercanzia che, per ragioni di spazio o più verosibilmente di valore, non era il caso di esporla in pubblico.

Allora la prassi prevedeva la consultazione del catalogo, la scelta dell’oggetto desiderato, la inevitabile contrattazione, che per alcuni beni, comprensibilmente, partiva da cifre molto elevate. Una volta stabilita una base da cui iniziare per la successiva – ben più feroce – trattativa finale, il titolare aveva la conferma che l’oggetto interessava davvero e quindi valeva la pena estrarlo dal buco in cui era nascosto e portarlo alla luce. Pertanto, incaricava qualcuno, spesso un ragazzino, di andare a prenderlo. Nell’attesa, arrivava al punto di offrire anche una tazza di tè, o una bibita fresca, per ingannare l’attesa e predisporre il cliente a più miti consigli.

Caccia all’orologio di marca falso

Anche io, confesso, sono stato preso dalla frenesia di possedere un autentico orologio di marca falso. Ciò che cercavo era un Omega SpeedMaster Moonwatch, per essere precisi. Ma non ero riuscito a trovarlo nel Night Bazar di Chiang Mai, se non a prezzi proibitivi. Avendo in programma di passare gli ultimi 3 giorni a Bangkok, decisi di rimandare la ricerca concentrandola sui mercati della capitale, che in linea teorica sembravano più grandi e più riforniti.

Patpong fu una delusione: anche lì, complice la grande massa di turisti che lo affollano, i prezzi toccavano cifre decisamente esagerate. I venditori erano piuttosto rigidi nelle loro richieste, non scendevano dal prezzo iniziale che di pochi spiccioli e ti lasciavano andare senza rimpianti, una volta che decidevi di desistere. Non mi sembrò opportuno insistere, non ne avrei ricavato un ragno dal buco. Restava solo il mercato di Chinatown, più popolare e quindi – speravo – più a buon mercato.

A Chinatown la zona dedicata alla vendita di orologi falsi era collocata in un punto francamente (o forse volutamente) poco appariscente. L’area, infatti, era per lo più occupata da rigattieri, venditori di oggetti in metallo, piccole officine meccaniche. Dominava su tutto un fragore di seghe elettriche e il martellare di scalpelli. La bancarella a cui mi accostai non era eccessivamente grande ma esibiva una decina di modelli Omega in bella vista. Tra questi il famigerato SpeedMaster che cercavo. Quando lo presi in mano, tuttavia, mi accorsi che era stranamente troppo leggero per essere davvero una “replica autentica”, come recitava una scritta sopra il bancone. Lo feci notare al titolare il quale mi disse – o meglio mi fece capire – che quella non era una replica di livello A ma di livello B. Che era cioè un prodotto costruito in Cina, quella popolare comunista, e non a Taiwan, dove invece gli orologi falsi venivano realizzati alla perfezione. Così si giustificava peraltro il prezzo sorprendentemente basso. Per avere una replica di pregio bisognava seguirlo in negozio.

C’è falso e falso

Questa ultima parte del discorso, ammetto, mi inquietò non poco. Già non ci sentivamo a nostro agio, io e mia moglie, in un luogo così poco turistico e lontano dalle zone più sicure di Bangkok. In più, un tipo dalla faccia losca ci invitava ad accompagnarlo in direzione di un caseggiato, stile casa popolare, dove avremmo dovuto seguirlo senza alcuna certezza di cosa ci sarebbe successo. Ci pensammo un attimo ma arrivati a quel punto ci sembrava un peccato non andare fino in fondo. E così decidemmo di andare con lui al “negozio”.

Il tragitto che percorremmo fu davvero impressionante. Attraversammo una barriera fitta fitta di venditori ambulanti e ci inoltrammo nelle viscere sotterranee del caseggiato, che si rivelò essere un vero e proprio magazzino di varia merce contraffatta. Da qui, sempre seguendo il tipo in religiosa fila indiana, ci infilammo in angusti corridoi, intasati anch’essi di mercanzia, per sfociare infine in un negozietto che assomigliava in tutto e per tutto ad una dignitosa gioielleria occidentale. Con tanto di vetri anti-proiettile e serratura di sblocco elettronica.

Ci invitarono a sedere presso uno dei tre tavolini presenti nella saletta chiedendoci di pazientare un attimo. Nell’attesa, iniziai a girarmi intorno e notai, seduti al tavolo più distante, due grassi individui dalle evidenti fattezze nord europee. I due signori avevano davanti a sé una valigetta portavalori aperta dentro cui erano ben visibili tre orologi Rolex d’oro, ciascuno avvolto strettamente nel cellophane ed etichettato con un mastrino colorato. Uno degli avventori (che poi capii era olandese), ne prese uno, lo scartò con cura, se lo rigirò tra le mani più volte e infine prese a osservarlo di profilo guardando l’orologio molto da vicino. Non rimasi sorpreso, quindi, quando tirò fuori un monocolo da orologiaio e ricominciò da capo l’esame minuzioso dell’orologio.

Insomma, da quanto ne capii, i due olandesi erano probabilmente dei commercianti di orologi (falsi) di grande valore. Stavano acquistando quei Rolex d’oro per regalarli agli amici? O forse per rivenderli nel mercato interno come orologi autentici? Erano quindi dei truffatori? O semplicemente volevano far colpo su parenti e amici sfoggiando un orologio prestigioso di cui nessuno si sarebbe mai preso la briga di controllare l’autenticità? Non lo so, e temo che rimarrò sempre nel dubbio.

Quanto al mio personale acquisto… alla fine non se ne fece nulla. L’Omega che mi portarono, ancora avvolto nel cellophane e provvisto addirittura di pellicola protettiva sul quadrante, era sì un oggetto splendido, assolutamente identico all’originale, ma costava troppo! E, come a Patpong, non c’era verso di poter abbassare il prezzo a cifre più ragionevoli. Evidentemente, per quel tipo di repliche le valutazioni di mercato non potevano scendere sotto determinati livelli, e quindi non c’era niente da fare: bisognava desistere.

Piuttosto che tornare a mani vuote, dopo aver fatto tanta strada, mi sono accontentato della replica di livello B. Sono tornato indietro e ho acquistato un orologio che, a parte il peso, aveva tutte le caratteristiche tipiche di uno SpeedMaster originale, compreso il vetro in simil-zaffiro. E comuque, chi potevo ingannare? Non avrei mai potuto permettermi un Omega originale, quindi nessuno dei miei conoscenti avrebbe mai creduto che quell’orologio fosse vero. E quindi, se proprio dovevo ammettere che non era un oggetto autentico, perché spendere un occhio della testa?

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