Il retrogusto amaro delle alici di Tenerife

Puerto della Cruz abbonda di locali e taperie che offrono tutto il meglio (e il peggio) della gastronomia iberica – e anche qualcosa di più. Fra tutti i piatti tipici che è obbligatorio assaggiare, almeno una volta, per capire come la cucina canariota si è evoluta in base alle risorse disponibili, consiglio di provare le alici arrosto. Una ricetta povera, estremamente ridotta all’essenziale, priva di qualsiasi forma di concessione scenica, offerta indifferentemente sia nei ristoranti di lusso che nelle bettole dei porti.

Le alici arrosto di Tenerife sono senza alcun dubbio un piatto tipico della tradizione isolana. Si possono trovare sia nelle taperie che nei locali più importanti e generalmente costano davvero poco. Vengono offerte in generosa quantità (almeno una dozzina di alici di medie dimensioni per porzione, ma ci sono posti in cui te le gettano dietro) e accompagnate spesso da un contorno di patate piccanti alle erbe. Il che ne fa un perfetto piatto unico da mangiare al volo in qualsiasi circostanza.

Le alici arrosto di Tenerife, tuttavia, nascondono una spiacevole sorpresa. Vengono cotte sulla griglia senza essere state preventivamente pulite, ovvero liberate delle viscere interne. Alcune versioni presentano il consueto taglio longitudinale, e ciò farebbe pensare che siano state aperte e pulite, ma non è così. Le viscere stanno ancora al loro posto. Tanto è vero che in altri locali di Puerto del la Cruz le acciughe non vengono neppure aperte. Sono gettate sul fuoco così come sono state pescate, ancora integre, complete di testa, coda e organi interni!

Naturalmente esiste una ragione. Questo piatto, povero e alla portata di tutti, era il cibo tipico dei pescatori quando stavano in alto mare. Lavare e pulire il pesce, dopo averlo pescato, probabilmente costituiva una perdita di tempo e – in fin dei conti – una occupazione inutile, visto che le alici, specie quelle più piccole, sono difficili da aprire e pulire senza danneggiarle irrimediabilmente.

Di conseguenza, la tradizione di arrostire le alici senza averne estratto le interiora è rimasta e si è diffusa anche a terra, propagandosi inesorabilmente tra i ristoranti e le taperie dell’isola. Gli autoctoni le apprezzano molto, devo dire, ma non i turisti. I quali, abituati a mangiare pesce abbattuto, ben lavato, sterilizzato e perfino diliscato, mostrano di non gradire questo modo primitivo di cucinare il pesce.

Io ovviamente l’ho provato, ma non per masochismo: semplicemente non ero al corrente che le alici non fossero state pulite. Me le sono trovate davanti belle e fumanti, profumate di aceto, aglio ed erbe aromatiche, e mi sono avventato su di esse con una certa veemenza. Ma al primo assaggio ho avvertito un acuto gusto amaro in bocca: ebbene sì, le interiora di alice sono amare, terribilmente amare, e tale amarezza non era neppure mitigata dalla incontestabile bontà delle carni. La prima reazione è stata quella di sputare tutto e ordinare qualcos’altro. Ma poi, desideroso comunque di terminare quella esperienza, mi sono industriato per trovare una soluzione. E ho iniziato a pulirle con estrema cura, liberandole sia delle interiora (che avevano preso un colore marrone scuro piuttosto rivoltante) sia della lisca, dal momento che le viscere si attaccano ad essa durante la cottura.

Con pazienza e molta attenzione, ho portato a termine il pasto. Che non è stato così disgustoso come pensavo. Con abbondante limone e una buona dose di resilienza, sono riuscito a rendere sopportabile il retrogusto amaro delle alici di Tenerife. Ma non le ho più riprese…

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