Le donne del lago Inle e i loro turbanti colorati

La vanità, si sa, non conosce né limiti né confini. Coinvolge entrambi i sessi, naturalmente, ma è innegabile che per le donne si tratta di una condizione imprescindibile della loro vita. Essere belle non basta. Bisogna piacere, prima di tutto a se stesse, poi agli altri. Ma per farlo occorre ricorrere a inventiva, creatività, intraprendenza. Sfruttando spesso le poche risorse a disposizione e dando fondo a una buona dose di spudoratezza. che non guasta mai.

Basta darsi un’occhiata in giro, ovunque ci si trovi, per notare come l’universo femminile sia sempre alla costante ricerca di una perfezione estetica che travalica i costumi e le tradizioni prettamente locali. La bellezza, l’equilibrio, l’eleganza sono concetti universali, apprezzati ovunque e immediatamente riconoscibili da qualsiasi essere umano a prescindere dalla provenienza geografica. E se parliamo di un maschio, ecco che la vanità femminile diventa anche un grimaldello sessuale molto efficace. Non sorprende, quindi, che qualsiasi segnale prodotto dallo sfoggio della propria vanità raggiunga facilmente, e senza alcun filtro, il bersaglio a cui è destinato.

Questa riflessione mi è balenata in mente più volte, durante i miei viaggi. Le occasioni per rinnovarla, del resto, non sono mai mancate. Ovunque andassi ho assistito a manifestazioni di vanità femminile di ogni genere. E mai una volta ho trovato queste manifestazioni esagerate, pacchiane o sconvenienti. L’immagine di questo post ne è un esempio lampante. Essa raffigura un gruppo di giovani donne appartenenti a una etnia che vive sulle sponde del lago Inle. Sono tutte abbigliate nello stesso modo, come si vede – si tratta di un abito da cerimonia tipico dell’etnia in questione. Ma ciò che sorprende non sono i vestiti, per quanto interessanti, ma il copricapo che le ragazze indossano.

A prima vista mi sembrò un turbante. Tuttavia non mi sarei mai accorto con quale tessuto fosse realizzato se non avessi zoommato sul gruppo con la mia macchina fotografica. E lì ho capito tutto. Il copricapo che avvolgeva le teste di queste giovani donne era praticamente un semplice asciugamano! Uno di quelli che si usano sulle nostre spiagge, né più né meno. Ma utilizzato in quel modo, girato più volte sulla fronte e poi legato a croce, sembrava il turbante più elegante del mondo!

Tale meraviglia ingegneristica rendeva le ragazze estremamente fiere. Al punto di evitare il benché minimo scossone per evitare che l’accrocco, da un momento all’altro, potesse sciogliersi. Dalla rigidità con la quale si muovevano, infatti, ho dedotto che non fosse semplice gestire quell’ingombro sul capo. Se infatti qualche ragazza indossava un copricapo tutto sommato “ridotto”, altre, al contrario, mostravano un turbante molto più elaborato e voluminoso, proabilmente dovuto alla larghezza originaria dell’asciugamano. Per queste povere – ma orgogliose – disgraziate, ogni movimento del capo necessitava di adeguata programmazione. Doveva essere svolto, cioè, con lenta e misurata solennità, pena la rovinosa caduta della costruzione.

Di conseguenza, nessun scossone era ammesso, neppure quando si lasciavano andare a qualche sana risata tra amiche. E anche quando si sono accorte che le stavo riprendendo, non hanno lasciato trapelare alcuna apparente emozione. Si sono limitate a gettarmi addosso uno sguardo tra il curioso e l’annoiato che tuttavia lasciava intendere come apprezzassero l’interesse che avevano suscitato in me. Vanità soddisfatta, come volevasi dimostrare…

 

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