Ritorno a Yangon con qualche imprevisto…

Dopo la scorpacciata di templi, mercati, coltivazioni galleggianti, case su palafitte, barche di tutti i tipi, anche per noi è arrivato il momento di lasciare il lago Inle. E con esso ci è toccato dire addio alla nostra vacanza in Myanmar. Il programma messo a punto da Sonny prevedeva di ricongiungerci, dopo 4 giorni di distacco, con il nostro bravo autista e recarci di prima mattina a Heho, dove avremmo preso l’aereo per Yangon. Un’ultima notte nella ex-capitale, tanto per non avere rimpianti, e poi l’indomani mattina avremmo preso il volo Airasia di ritorno a Bangkok.

Tutto programmato al secondo. Come l’intero viaggio, del resto. Fino ad allora, infatti, la nostra vacanza si era svolta senza il minimo disagio o ritardo. Niente e nessuno avrebbe intaccato la nostra fiducia nel corso degli eventi… a parte il clima monsonico del Myanmar a Giugno!

Il giorno della partenza non poteva essere più inadatto per prendere un aereo. Fin dalla mattina, infatti, il cielo ha scaricato tanta di quell’acqua da far temere che da un momento all’altro il lago Inle ci sarebbe entrato in camera. In uno scampolo di quiete, siamo riusciti a prendere la barca a motore veloce che ci ha condotto al molo più vicino dove abbiamo trovato Sonny e l’autista che ci aspettavano intirizziti per il freddo. Il tempo dei convenevoli, e siamo scappati via da quella zona divenuta improvvisamente così poco accogliente. Ma non appena abbiamo varcato la soglia dell’aeroporto di Heho le nuvole sono tornate ad addensarsi sulla nostra testa. In breve ha ricominciato a piovere a dirotto.

L’entrata dell’aeroporto di Heho

Poco male, si dirà. Del resto si vola benissimo anche con il maltempo, e non succede (quasi) mai niente di grave. Basta decollare, bucare la coltre di nubi, ed è fatta. Era questa la cognizione che avevo allora della situazione, in estrema sintesi, e quindi non mi preoccupavo granché. L’unico fattore di disagio, al contrario, era costituito dall’estrema esiguità degli spazi a disposizione. L’area di attesa del piccolo aeroporto era (e penso lo è ancora) minuscola. Una volta entrati la sensazione era quella di sentirsi in trappola, limitati negli spostamenti e senza aver più molto da fare, a parte comprare qualcosa al piccolo market o consumare un caffè al chioschetto.

Ma si trattava di poche ore di attesa, non era un sacrificio così grande. I problemi sono iniziati quando è stato annunciato il primo rinvio di un volo per Yangon (non il nostro). I relativi passeggeri, tutti spagnoli di un tour organizzato, sono rimasti a terra, in ansiosa attesa di notizie. Sulle prime ho pensato che il volo fosse stato sospeso per via della pioggia. Ma ben presto mi sono accorto che non era proprio così. Fuori, infatti, era spuntato un ben sole che faceva capolino tra le nuvole scure. La pista, poco prima allagata, in pochi minuti s’è asciugata quasi del tutto. Evidentemente il rinvio non poteva essere dovuto alle condizioni del tempo nè tantomeno a quelle della pista. C’era dell’altro.

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