Il mio unico, breve, faticoso trekking nella giungla

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Quarta tappa: la foresta di bambù e le risaie

Quando i quattro compagni di viaggio sono tornati su, felici ma visibilmente provati dall’ascesa, ho capito che l’escursione avrebbe lasciato strascichi su tutti noi, nessuno escluso. Le ragazze, in particolare, iniziavano a lamentarsi delle attenzioni degli insetti per le loro belle gambe nude. L’australiana era praticamente devastata, ricoperta di bubboni rossi di tutte le forme e dimensioni, a quanto pareva anche piuttosto dolorosi. Non aveva creme né altro per proteggersi. Il suo fidanzato, inoltre, anche se non voleva darlo a intendere, sembrava patire molto gli effetti della rovinosa scivolata di poche ore prima. Le sue smorfie di dolore si alternavano con le solite grasse risate, ma era evidente che soffriva, e anche tanto…

Una volta sommariamente asciugati, abbiamo ripreso il cammino. Che prevedeva una ultima ascesa, forse la più impervia di tutte, e quindi l’ingresso in quello che doveva essere, almeno nei piani di partenza, uno dei momenti cloux della gita: la foresta di bambù. A rovinare aspettative e morale, come al solito, è intervenuta la pioggia. Che da qui in avanti, per almeno un paio d’ore, è stata incessante e piuttosto fastidiosa, tanto da costringerci a indossare tutti le pesanti cerate di plastica.

Le foresta di bambù non sono normalmente molto estese. In realtà nei miei viaggi in Asia ho notato due specie diverse di questa erba legnosa. Una, la più diffusa, è caratterizzata da grandi ammassi di canne, a volte altissime, che compongono macchie piuttosto grandi. L’altra tipologia, tipica per esempio del Giappone, è caratterizzata da piante isolate e distanziate l’una dall’altra, che popolano boschi di dimensioni mai troppo estese. Quella in cui ci eravamo infilati noi era di questo ultimo tipo. Una vera meraviglia, se non fosse per la pioggia battente che ci impediva perfino di osservare il panorama. La cerata, inoltre, produceva al suo interno un microclima caldo e soffocante che rendeva ancora più penoso ogni movimento.

La camminata tra questi tronchi dritti e affusolati era insomma l’evento più atteso della giornata. Lo avevamo pregustato guardando le immagini dei depliant che l’agenzia di aveva scodellato sotto gli occhi al momento della prenotazione. Da quegli scatti mai e poi mai avremmo pensato che l’unico nostro pensiero, una volta entrati nella foresta, sarebbe stato quello di uscirne fuori al più presto possibile!…

Le risaie a terrazza all’interno della foresta

Fradici e scoraggiati, finalmente il bosco si è aperto e siamo sfociati in un ambiente del tutto diverso, quello delle risaie a terrazza. E improvvisamente ha smesso di piovere! Abbiamo chiesto una sosta a Gnam il quale, magnanimamente, ce l’ha concessa, pur avvertendoci che dovevamo ancora fare molta strada. E questo malgrado ogni volta che Paola gli chiedesse quanto mancava, egli rispondeva sempre, immancabilmente: “Ci siamo quasi”.

Il tipo, peraltro, ci ha lasciati soli per almeno una mezzoretta abbondante. Si è incamminato su per le terrazze e lo abbiamo visto sparire dietro una macchia di grandi alberi. Non ci ha comunicato perché si allontanava, né noi, a dire il vero, abbiamo avuto l’ardire di chiederglielo. Quando è riapparso, recava in mano il cadavere di un roditore, forse uno scoiattolo, appena catturato. Era il regalo di un suo amico, che abitava oltre le risaie, e rappresentava la sua cena serale. Nessuno di noi lo ha invidiato, specie quando ha preso a spellare con gesti rudi e misurati il corpo del povero animale.

La sosta ci è servita a riprendere fiato, asciugarci (dal sudore) e fare il punto della situazione. Il luogo era indiscutibilmente affascinante, anche in una giornata così umida e cupa. Eppure non si intravedeva ancora la fine della camminata. D’altronde Gnam non sembrava avere fretta e continuava a preparare la sua cena serale fumando e canticchiando fra se e se. Non avevamo idea di dove ci trovavamo e tutt’intorno non si vedeva né si udiva la presenza di attività umane. Per la prima volta dall’inizio dell’escursione, ci siamo scambiati uno sguardo di apprensione che non aveva bisogno di traduzioni…

Quando Gnam ha riposto lo scoiattolo nella sua capiente sacca a tracolla, è iniziata l’ultima parte del programma. Forse la più facile, perché consisteva nell’attraversare le risaie camminando sui terrapieni che ne delineano le piantagioni allagate. Si percorreva quindi il percorso grossomodo a zig-zag, passando da un terrapieno ad un altro e salendo progressivamente di risaia in risaia fino alla sommità della collina. Una passeggiatina, in confronto alle prove sostenute in precedenza, ma non per mia moglie. E’ stato in quell’occasione, infatti, che Paola ha verificato definitivamente quanto fosse stata inappropriata la scelta degli scarponi da montagna. La profonda suola a carrarmato, infatti, era ormai completamente intasata di fango e sterpaglie ormai compattate. In pratica non esisteva più alcun rilievo, era tutto liscio e viscido come il terreno che si calpestava. E gli scarponi, già pesanti di loro, erano divenuti due blocchi di cemento ai piedi!…

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