Nubifragio a Bagan

Raramente il clima ci è stato amico. La ragione è ovvia: prendiamo le nostre ferie in estate; l’estate in Oriente coincide spesso con la stagione umida; durante la stagione umida piove; e laggiù, quando piove, si tratta quasi sempre di tempeste in piena regola! Il clima, insomma, è la variabile impazzita che condiziona qualsiasi progetto di viaggio. Prevederlo, anticiparlo, metterlo in conto, non serve a nulla; quando la pioggia ti coglie in una strada urbana, in un sentiero nella foresta, sui contrafforti di un tempio indu, non sarai mai preparato a sufficienza, e ti sorprenderai a bestemmiare per un evento che, in fin dei conti, è più che naturale.

Eppure, il 7 giugno 2011 ho vissuto la più terrorizzante esperienza della mia vita legata ad un temporale monsonico. Tutto è iniziato nel corso del nostro lungo spostamento verso Bagan, la città dei 2800 templi. La pioggia è iniziata a cadere fin dal mattino, in modo leggero, discreta quanto basta da essere sottovalutata. Tuttavia, nel giro di pochi minuti ci ha colto un vero e proprio nubifragio, tale da bagnarci da capo a piedi nel breve tragitto che ci separava dalla macchina, appena 20 metri!

Una strada impraticabile

Il primo tratto sotto la pioggia battente non ci ha procurato particolari patemi. La strada era sgombra e in buone condizioni e la visibilità sufficiente. Ma giunti nei pressi di Bagan il temporale si è tramutato in tempesta tropicale. In breve, non riuscivamo neppure a vedere dove stavamo dirigendoci; la pioggia era talmente fitta che i tergicristalli della nostra vecchia Nissan non riuscivano neppure a muoversi e ronzavano in modo preoccupante…

In pochi minuti la strada si è riempita d’acqua come una bagnarola. I ruscelli fangosi che provenivano dalla montagna hanno invaso il manto stradale e lo hanno sommerso in più punti. In quella bufera d’acqua si intravedevano ogni tanto ombre fugaci che vagavano nella nebbia come fantasmi; persone intirizzite che sembravano quasi inebetite dala violenza della natura. Alcuni si limitavano  a trascinare la bicicletta, ormai inutilizzabile;  altri cercavano comunque di mettersi al riparo, impresa quantomeno velleitaria, dal momento che non si scorgeva un albero più alto di un metro. A volte, infine, si indovinava nel grigiore generale la forma confusa e appannata di una guglia, di una pagoda in lontananza. Ma niente che testimoniasse la presenza di un agglomerato urbano o di semplici case attorno a noi.

Raggiungere Bagan a 20 all’ora

All’ennesimo avvallamento della strada ecco che succede l’imprevisto (ma fino a un certo punto): il ruscello di fango giallo che precipitava giù dalla collina è diventato troppo impetuoso e profondo per essere attraversato con l’automobile. Trasformatosi presto in un lago di acqua ribollente, è apparso chiaro che non c’era la minima possibilità di attraversarlo. E come noi lo avevano compreso tutte le persone che si accalcavano sui due suoi lati. Era chiaro che a nessuno saltava in mente di provare a superare il guado, in quelle condizioni estreme. Generazioni e generazioni di esperienza in materia suggerivano un comportamento più prudente e attendista. Meglio sedersi dove era possibile trovare un minimo riparo, accucciarsi uno appresso all’altro – come se la vicinanza dei corpi potesse proteggere dalla furia degli elementi – e aspettare pazientemente la fine del temporale, o quantomeno un suo affievolimento.

Noi, al contrario, non avevamo tanta pazienza. I nostri tempi di viaggio erano troppo stringati per attendere i comodi della natura. Diveniva quindi impellente un cambio di strategia. Sonny e Thien hanno confabulato un po’ e hanno deciso per una marcia indietro. Dopo qualche centinaio di metri abbiamo preso un sentiero laterale che aveva tutta l’aria di una scorciatoia verso la città. Un classico “piano B” che ci ha costretto tuttavia a una lenta marcia condotta a 20 all’ora, quasi sempre in prima, con frequenti slittamenti che sballottano la macchina da una parte all’altra della carreggiata. Ogni tanto, addirittura, Sonny era costretto a scendere per saggiare con i piedi la profondità dei rivoli di fango che ci attraversavano la strada, e per indicare con ampi gesti all’autista dove passare per evitare buche o banchi di fango particolarmente molli.

Infine siamo arrivati all’albergo. Una doccia rapida e poi subito a mangiare. Continuava a piovere copiosamente, l’acqua non ci dava tregua neppure al ristorante, dove una sonnacchiosa cameriera, più dedita a seguire la televisione locale che noi avventori, ci serviva svogliata e decisamente annoiata. Il pesce gatto condito con una salsa indefinibile che abbiamo mangiato non ci ha impressionato granché; si può dire che è stato la giusta fine di una giornata che certo non sarà ricordata come il nostro migliore ricordo di viaggio…

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