C’è una occupazione da svolgere obbligatoriamente a Miyajima. Che non riguarda attività quali ammirare le bellezze paesagistiche locali, o girare per il famoso monastero semi-sommerso, o dar da mangiare ai cervi locali. Tutto questo è importante, è indiscutibile, ma ritengo che la maggioranza dei turisti – soprattutto giapponesi – vengono qui per uno scopo molto meno elevato e più prosaico.
In effetti, la principale attività dell’isola – e la fonte primaria di introiti consistenti – è costituita dall’offerta gastronomica. Le specialità culinarie locali, a detta di tutte le guide di viaggio, sono considerate la quintessenza della cucina giapponese, e alcuni piatti sono divenuti tanto celebri da essere esportati perfino nel resto del mondo. Parlo specificatamente degli okonomiyaki, una delle ricette più diffuse nell’intero Giappone. Tuttavia, gli okonomiyaki cucinati da queste parti hanno quel qualcosa in più che li rendono una specialità unica, non replicabile, introvabile altrove.
Spieghiamo innanzitutto cosa sono gli okonomiyaki a quei pochi che non lo sanno. Si tratta di un piatto dalle origini povere, come del resto le più gustose specialità della cucina mondiale: un impasto di noodles avanzati mischiati a uova strapazzate, carne o pesce a secondo della richiesta, spezie, salse varie. In pratica, una specie di frittata di pasta delle nostre parti. Questo impasto è gettato in padella o – più spesso – su una piastra ardente e girato e rigirato più volte grazie all’utilizzo di spatole di legno. Il risultato è una specie di frittella rotonda e irregolare su cui, al momento di metterlo nel piatto, si versa una salsa bianca, densa e vagamente dolce che assomiglia alla maionese.
Il risultato è un piatto molto saporito, consistente, da mangiare con cautela, specie all’inizio, quando è ancora rovente. I ristorantini da strada che vendono tale prelibatezza a Miyajima sono parecchi, collocati uno accanto all’altro sulla via principale della cittadina. Si può scegliere tra i locali più raffinati e le vere e proprie bettole; io chiaramente consiglio quest’ultime, dove del resto entrano i giapponesi e il prezzo è decisamente contenuto (1500-2000 yen al massimo). Un solo okonomiyaki è sufficiente a saziarsi, posso assicurarlo.
Il problema, di contro, è costituito dalle varietà di piatti esistenti. Si può scegliere tra molte tipologie (alla carne, al pesce, ai gamberi, alle verdure) ma gli okonomiyaki tipici dell’isola sono indubbiamente quelli all’ostrica. Che è la seconda specialità locale, ma per i residenti probabilmente la fonte di guadagni più importante. L’ostrica di Miyajima, a quanto pare, è un alimento molto apprezzato dai giapponesi, e non solo quelli che vivono in zona. E’ tanto celebre che si tiene ogni anno un festival in suo onore! La vendono sopratutto le bancarelle che stazionano all’ingresso e all’uscita della zona turistica della cittadina. La gente che si affolla presso di esse è la prova più efficace di quanto sia gradito questo mollusco.
L’ostrica a Miyajima è dapprima passata rapidamente su una griglia infuocata. In pratica viene appena arrostita, ma solo il tempo necessario affinché si apra e si asciughi. Un metodo quindi tipicamente locale, niente a che vedere con le abitudini di consumo adottate da noi in Europa. Peraltro, l’ostrica cotta e servita con limone sembra essere ottima, a giudicare dalle espressioni di godimento dei giapponesi – e io non ho ragioni di dubitarne, visto che a me le ostriche non piaciono per niente.
Oltre a questo metodo, il mitilo è utilizzato – come già detto – come pietanza principale di piatti più complessi: l’okonomiyaki è solo uno di questi. Un altro, ben più costoso e per certi versi tipico anch’esso di Miyajima, è la zuppa con soba e ostriche. Qui il mitilo viene bollito a lungo nel brodo del ramen fino a raggiungere la consistenza di un globo compatto e piuttosto solido.
L’ultimo alimento in cima ai desideri dei giapponesi che sbarcano a Miyajima è l’anguilla. Un pesce con ogni evidenza molto apprezzato, vista la quantità e varietà di piatti presenti in ogni menu. Tanto da indurmi perfino ad assaggiarla in un ristorantino vicino alla costa. A dire il vero l’anguilla non mi ha fatto mai impazzire, per usare un eufemismo. Troppo grassa e troppo viscida, in qualsiasi modo venga cucinata. Ma laggiù, in una situazione in cui dovevo scegliere se prendere un ramen all’ostrica o una zuppa di riso all’anguilla, ho optato per la seconda, sperando che ciò contribuisse a farmi rivalutare questo alimento tanto bistrattato.
E’ stata l’esperienza più rivoltante dopo il bibitone al tè verde di Kyoto (quello resta insuperabile, nella scala assoluta delle porcherie!). Il riso era condito in modo tutto sommato piacevole, direi perfino delicato. Ma erano quei pezzi di carne marinata che una volta introdotti in bocca iniziavano a muoversi e agitarsi come se fossero ancora vivi! Conclusione? Neppure stavolta sono riuscito a finire un piatto a base di anguilla. Malgrado la marinatura e la successiva grigliatura, la carne di questo pesce restava viscida, poco consistente, estremamente oleosa, e faticava a scendere nell’esofago. Ho dunque mangiato il riso e lasciato il resto, con grande stupore dei miei vicini giapponesi, che invece ingollavano quei bocconi come se fossero caramelle…