Arrivo al lago Inle: quando il maltempo trasfigura ogni cosa

L’ultima tappa importante del nostro viaggio in Myanmar era forse la più attesa. Il lago Inle, infatti, ci era stato descritto da Sonny come un luogo unico, fatato, al di fuori del tempo, che ci avrebbe sicuramente avvinto. Era l’ideale tappa finale di un viaggio intenso e interessantissimo. Per questo aveva programmato ben tre notti da trascorrere sulle sponde del lago: le cose da fare e da vedere erano talmente tante da non consentire alcuna superficialità o visite affrettate.

Tuttavia, guardando le foto di allora, giugno 2011, mi sovviene un leggero moto di stizza. Il mio approccio al luogo forse più caratteristico di tutto il viaggio non è stato esattamente quello che mi auguravo. Le immagini che spopolano oggi su Internet rappresentano una terra magnifica, verdissima, e un lago dalle acque limpide e cristalline; il cielo è quasi sempre terso e di un azzurro irreale. Ma posso assicurare che a giugno, in piena stagione umida, tale immagine da cartolina non esiste, è una sinecura, una rappresentazione distorta della realtà. Perché il maltempo è capace di rovinarti anche solo la percezione di un luogo, e adesso spiego come.

Il tragitto che ci avrebbe condotti al lago, già di suo, non è stato particolarmente epico. Dopo un viaggio convulso e dissestato, svolto in gran parte su strade che di asfalto conservavano un pietoso ricordo, siamo giunti sulle sponde del lago Inle nel tardo pomeriggio. La luce era ormai piuttosto bassa e la massa di nuvole che ci aveva perseguitato durante il viaggio incombeva minacciosa su di noi. Avevamo giusto il tempo di guadagnare il nostro albergo e riposarci, rimandando all’indomani qualsiasi altra attività. Ma il nostro albergo non stava proprio a due passi…

Sonny ci aveva riservato il soggiorno presso uno dei luoghi più esclusivi del posto, l’Inle Resort, un albergo 4 stelle costruito a metà tra la terraferma e le paludi che circondano il lago. Un luogo perfetto, direi perfino il migliore in assoluto per vivere appieno il lago e le sue bellezze, se non fosse che si trovava a circa 2 chilometri dal molo, praticamente irrangiungibile da qualsiasi mezzo che non fosse acquatico. Un motivo in più per deprimerci ulteriormente, visto che il tempo peggiorava a vista d’occhio. Infatti in breve ha iniziato a piovere.

L’Inle Resort sul lago Inle

Nel bel mezzo dell’acquazzone è arrivata finalmente la barca che ci avrebbe condotto all’albergo. Era una di quelle imbarcazioni tipiche del sud est asiatico: lunga, stretta, con una prua decisamente rialzata. E nessun segno di tettoia o qualsiasi altro tipo di riparo dall’acqua. Ci siamo accomodati uno dietro all’altro, con il traghettatore in coda, e siamo partiti a razzo. Io e mia moglie cercavamo di ripararci alla bell’e meglio. E sopratutto cercavamo di tenere fuori da spruzzi, schizzi e pioggia battente le nostre valigie, impresa rivelatasi presto aleatoria. Nel volgere di pochi minuti, malgrado le cerate e i cappelli abbassati sul naso, ci siamo ritrovati tutti e 4 fradici fino all’osso!…

Il magnifico Inle Resort è apparso tra la nebbia all’improvviso. Era situato all’interno di una baia sulla quale si affacciavano alcuni bungalow e altre costruzioni caratteristiche. Il nostro sbarco, coadiuvato dagli inservienti, intervenuti immediatamente, ci ha consentito di valutare esattamente la situazione. Un albergo anonimo, quattro o cinque laghetti interni, un giardino sconfinato, un silenzio da fare accapponare la pelle e un freddo da autunno romano. E quando Sonny e il traghettatore ci hanno lasciati, abbiamo capito che non solo eravamo isolati dal resto della (residua) civiltà, ma anche clamorosamente soli! Non ci è voluto molto, infatti, per capire che eravamo gli unici ospiti della struttura.

E intato fuori riprendeva a piovere…

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