Una corsa in barca sul fiume Tembeling

Il Taman Negara è senz’altro uno dei luoghi più affascinanti della Malesia e – azzardo – dell’intera Asia sud-orientale. La sua foresta primordiale, così fitta, articolata, ricca di specie animali e vegetali, alcune delle quali ancora in attesa di prima classificazione, la rendono uno degli ultimi posti sulla terra in cui una escursione si può trasformare in una vera e propria avventura. Il Taman Negara e il suo principale fiume Tembeling, insomma, sono il posto giusto dove vivere una esperienza da autentici esploratori.

Ho già parlato dei canopi sospesi tra gli alberi, che richiamano probabilmente un interesse eccessivo da parte dei visitatori, più attratti dall’originalità della cosa che dalle innumerevoli opportunità di osservare la natura da un luogo insolito e privilegiato. Camminare tra le fronde degli alberi, a parecchie decine di metri dal suolo, è senza dubbio il modo ideale per ammirare questa enorme foresta pluviale, ma non è il solo. Sicuramente non è il più scenografico. Perché esiste una escursione che può assicurare vedute mozzafiato e panorami da cartolina senza bisogno di arrampicarsi sugli aberi. Sto parlando della gita in barca sul fiume Tembeling.

Il parco nazionale del Taman Negara è attraversato da molti fiumi, come ogni foresta che si rispetti, il più lungo e navigabile dei quali è il fiume Tembeling. Che è poi il corso d’acqua che si attraversa per raggiungere l’ingresso della riserva. Qui sorgono parecchie chiatte coperte, alcune molto grandi, che fungono da ristoranti o da market ma esiste anche un’altra attività commerciale molto diffusa.

Lance a motore sul fiume Tembeling

Mi riferisco alla miriade di lunghe lance a motore, alcune provviste di tettoia, che si dispongono lungo la riva, una appresso all’altra, in attesa di imbarcare i turisti. L’escursione offerta, invariabilmente, consiste in una folle corsa su per il Tembeling, contro corrente, per sperimentare la bellezza naturale della foresta pluviale, avvistare la fauna selvatica e apprezzare il verde lussureggiante dei dintorni. Oltre che, tanto per non farsi mancare nulla, provare l’emozione di cavalcare le rapide e le cascate che si incontrano lungo il percorso.

L’escursione non costa molto ed è possibile effettuarla anche su grandi barche all’apparenza più stabili. Noi, un po’ per risparmiare, un po’ perché ci piaceva il gusto dell’avventura, abbiamo scelto un “jet-boat” davvero minuscolo, lungo e stretto, senza ripari, dove potevano trovare posto a malapena 4 persone (più il conducente, appollaiato a poppa), tutti uno dietro l’altro. Una specie di piroga senza bilanciere, insomma, il cui equilibrio veniva assicurato essenzialmente dalla immobilità degli occupanti, pena il rischio di ribaltare l’imbarcazione.

La prima parte della escursione non è stata particolarmente esaltante. Si è svolta su una area del fiume dalle acque fin troppo calme, sottoposti ad una pioggerellina fine e fastidiosa che ci ha preoccupato alquanto. Ciò nondimeno, lo spettacolo che si apriva davanti ai nostri occhi era senza prezzo. Le sponde erano invase dalla vegetazione, che diventava sempre più fitta e imponente man mano che si procedeva oltre.

Dal fiume, posso assicurare, ogni elemento appare diverso. Gli alberi sono più grandi, più ramificati, più fitti. Compongono un muro verde che rende impenetrabile alla vista qualsiasi dettaglio interno. E più è alta e scoscesa la riva, più questo muro sembra incombere su di te come se volesse ghermirti da un momento all’altro. E’ quasi un organismo unico, un gigante disteso su entrambe le rive del fiume che si protende sulle acque a volte minaccioso a volte protettivo. Mette soggezione e allo stesso tempo lascia con la bocca aperta, attoniti, rapiti, incapaci di proferire verbo.

Ogni tanto si aprono radure come quella della foto di copertina. Sono i luoghi in cui vivono gli ultimi indigeni, piccole oasi di umanità ricavate aprendosi a fatica un varco nella fitta vegetazione. Si notano poche capanne, qualche edificio più grande, collocato su palafitte e privo di pareti, qualche piroga attraccata a riva; ma la presenza di abitanti è ridotta a pochissime unità. L’impressione è di trovarsi sul set del film “Apocalypse Now“, quando la barca di Marlow risale il fiume alla ricerca di Kurtz. Sembra quasi che da un momento all’altro – proprio come nel film di Francis Ford Coppola – sbuchino fuori indigeni semi-nudi in procinto di tirarci addosso nugoli di frecce!

La sensazione di inquietudine si accresce quando si affrontano le prime rapide del fiume. All’inizio si tratta di lievi dislivelli, poco più che increspature, che la barca supera agevolmente senza bisogno di forzare. Poi, però, gli scalini d’acqua aumentano e diventano più violenti. Il fiume inizia a ribollire, costringendo il nostro timoniere ad aumentare la velocità per poter mantenere stabilità dell’imbarcazione e velocità di crociera.

Man mano che si procede, appare chiaro che il fiume sta rapidamente trasformandosi in un torrente in piena, con tanto di mulinelli e cascate, sia pure di piccola entità. La barca inizia a sbandare, a sbattere contro le correnti d’acqua, più dure del cemento, procedendo sempre più a zig-zag per evitare i punti più turbolenti. Per far ciò, inizia una vera e propria corsa che, nelle intenzioni del proprietario, dovrebbe divertirci, e invece ci terrorizza alquanto. In un attimo ci ritroviamo tutti fradici, perché in quel marasma è pressoché impossibile evitare di essere investiti dagli spruzzi.

Il nostro giro termina poco oltre una ultima rapida, più articolata delle altre, superata con un gran balzo finale con tanto di tuffo finale in un bacino a forma d’ansa, dove l’acqua è più calma. Ci riprendiamo e, per quanto possibile, cerchiamodi asciugarci. Solo allora torniamo ad ammirare il maestoso panorama che ci circonda. Prima eravano troppo impegnati a guardare le acque minacciose davanti a noi e a tenerci aggrappati ai bordi della barca…

 

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