Se c’è un posto al mondo, e in Giappone in particolare, dove i turisti sembrano muoversi in mandria, in balia di qualsiasi movimento determinato dal branco, come gli gnu nella savana africana… ecco, quel posto è Kyoto, e io e mia moglie siamo stati gli gnu del caso…
Ecco ciò che avviene. Appena arrivato nella modernissima stazione di Kyoto bisogna dirigersi senza indugio verso l’ufficio del turismo, perché senza acquisire le informazioni essenziali su mobilità, orari e luoghi, in questa città non vai da nessuna parte. La prima cosa che occorre capire, infatti, è come spostarsi tra i molteplici siti turistici in modo razionale, sfruttando l’ottima rete di trasporti pubblici. Le signorine che lavorano in questi uffici sono estremamente gentili e in cambio di pochi dati statistici (da dove vieni, cosa ti piace vedere, quanto rimani), sono disposte a caricarti di mappe, cartine, broshure e una miriade di informazioni, più o meno utili.
Indiscutibilmente, il modo migliore per raggiungere tutti i siti di maggiore interesse è usare l’autobus. Esiste una cartina, infatti, con la descrizione dettagliata del tragitto di tutti i mezzi che raggiungono le zone più belle di Kyoto, ognuna caratterizzata da un colore. E’ una cartina che a prima vista disorienta, perché le linee sono davvero tante e s’intrecciano diabolicamente in uno spazio francamente ridotto: pertanto, sei costretto ad avvicinare lo sguardo e a girare e rigirare la cartina al fine di seguire una linea che comincia verde e ad un certo punto, all’altezza di uno snodo, non si capisce perché, ne esce blu…
Superato questo primo momento di confusione, lo sviluppo successivo degli eventi è tutto in discesa. Le linee turistiche sono state espressamente progettate per portare i turisti nei luoghi famosi evitando di disperderli per strade o quartieri limitrofi. Sicché diventa ovvio che tutti i turisti si ritrovino ammassati in questi bus, oppure alle fermate più affollate, e che succeda di incontrare le stesse persone in posti diversi in un lasso di tempo ridotto.
Ciò che avviene una volta scesi dall’autobus è presto detto. In massa, proprio come i ruminanti delle savane africane, ci dirigiamo tutti verso l’attrazione del luogo, invariabilmente in salita. Lentamente, ciondolando teste e corpi, a passo corto, saliamo in massa su viottoli stretti ma sempre ben tenuti, con il naso in aria, quasi senza badare a dove si mettono i piedi. A volte si creano ingorghi e intralci che bloccano il traffico per qualche secondo, sollevando le timide proteste dei turisti più frenetici. Ciò succede perché qualche sprovveduto cinese al suo primo viaggio all’estero ha deciso di farsi un selfie proprio in mezzo alla strada, incurante del flusso di turisti che sale e che potrebbero travolgerlo; oppure perché l’italiano di turno chiede a qualche locale di fare la foto a lui, a tutta la sua famiglia e se c’è qualcun altro che si aggiunge è anche meglio…
Il traffico, a dire il vero, è convogliato in modo ottimale al fine di non creare flussi di ritorno, di gente cioè che abbia la malaugurata idea di fare il percorso al contrario. Per questo sembra davvero di comportarsi come mandrie di bovini dentro recinti precostituiti, tutti in fila, o in masse ordinate, per andare a vedere il punto A, poi il punto B, poi il punto C… niente è lasciato al caso o all’improvvisazione personale: non c’è la minima possibilità che tu possa passare dal punto C al punto F senza visitare obbligatoriamente gli step intermedi.
E succede che, svuotato da qualsiasi desiderio di fare di testa tua, ti lasci condurre dalla mandria di località in località, guardando l’attrazione del caso il numero esatto e sufficiente di secondi che servono e di cui tutti dispongono. Non ti sorprende neppure il fatto che a un certo punto ti ritrovi nella zona toilettes, pur non avendo nessuna necessità di esserci, oppure presso il bar. Ti svegli dal colpevole torpore e ti metti bovinamente in fila per acquistare un misero gelato di soia, agitato dal timore di perderti qualcosa che una volta a casa potresti rimpiangere per sempre…