Diavolerie tecnologiche giapponesi: la lavatrice a gettone

Prima o poi dovremo affrontarla tutti. E’ la lavatrice a gettone, oggetto tecnologico per eccellenza onnipresente in qualsiasi albergo, ryokan, pensioncina o semplice stamberga. Ed è una delle attività commerciali più diffuse, dopo i ristoranti, in tutto il paese. Perché a quanto pare o ai giapponesi piace poco lavarsi i panni da soli, oppure – ed è più probabile – lo spazio in casa è talmente risicato che non c’è modo di asciugarli a dovere.

L’oggetto in questione, declinato in decine di forme e soluzioni, rappresenta un’altra di quelle sfide che il bravo turista deve affrontare, quasi come un’ordalia, per entrare in sintonia con le abitudini e lo spirito vitale di questa nazione. Tuttavia, più del coraggio, qui occorre una dose massiccia di pazienza.

Innanzitutto bisogna capire come funziona il procedimento e quale ruolo assumere in quanto cliente. Una lavanderia a gettoni giapponese, infatti, non è per niente simile alle altre presenti in qualsiasi altra parte del sud-est asiatico – forse la Corea esclusa. Laggiù la scena è quasi sempre la seguente: ciabattando rumorosamente ti viene incontro una sonnacchiosa donnina che arraffa senza grazia i tuoi panni sporchi, li getta di malavoglia in un mucchio di altri panni sporchi, ti scarabocchia una specie di ricevuta, ti dà appuntamento ad una determinata ora e torna a sedersi sul divano per continuare a giocare con il telefonino.

Una lavanderia a gettoni giapponese è tutt’altro, ma non aspettatevi chissà quale luogo di efficienza e tecnologia, perché posso assicurare che può risultare ancor più disorientante di una lavanderia thailandese o malese. Infatti, si caratterizza per un elemento: la mancanza assoluta di addetti. Spesso si presenta come un grosso stanzone, a volte ricavato da un garage, in cui, da una parte, incombe una parete ricoperta da macchine lavatrici enormi, una sopra l’altra, una appresso all’altra, con i loro oblò scuri e inquietanti dentro cui vortica qualcosa di indefinibile. Dall’altra parte della stanza ci sono dei tavoli e delle sedie, disposte alla rinfusa, e un supporto per raccogliere i cesti dentro cui, a lavaggio terminato, ammucchiare la propria roba. Qualche locale ha anche una modesta zona “intrattenimento”, con qualche giornale o rivista e poco altro. Cianfrusaglie che nessuno degna neppure di uno sguardo, dato che la maggior parte della gente passa lì dentro il tempo minimo sufficiente a caricare la lavatrice e svignarsela in fretta.

Il primo scoglio da superare è capire come funziona la macchina infernale. Non si pensi, infatti, che tutte le lavatrici a gettone, in Giappone siano uguali, sicché imparato il procedimento una volta, funziona poi per tutte. Non è così, purtroppo. Ogni macchina ha la sua brava targhetta di istruzioni che deve essere doverosamente interpretata. Senza sbagliare, naturalmente, perché altrimenti ci si trova davanti ad una macchina implacabilmente ferma, sorda a qualsiasi sollecitazione, con lo sportello chiuso; e i tuoi panni imprigionati dentro, praticamente in ostaggio, in attesa di una azione da parte tua risolutiva che, nove volte su dieci, dipende da quanti soldi ci metti dentro.

E sì, perché il secondo ostacolo da affrontare è capire, interpretare, più che altro indovinare quante monete fanno funzionare la lavatrice a gettoni. Alcune macchine presentano vari programmi, tutti a prima vista molto complicati, ad un costo crescente man mano che si procede seguendo le indicazioni dall’alto verso il basso.

La prima volta che abbiamo affrontato la cosa, a Kyoto, non ricordo esattamente il costo esatto, però rammento benissimo che richiedeva un esborso in varie monete da 100 Yen… Che noi, ovviamente, in quel momento, non avevamo. Allora ci siamo precipitati fuori, lasciando i nostri panni dentro uno dei cestelli e ci siamo infilati in una elegante caffetteria che si trovava proprio appresso, con il furbesco intento di consumare qualcosa, cambiare le banconote e racimolare i quattrini spicci necessari al lavaggio. Senonché, in quella graziosa caffetteria gestita da due nonnine piccoline e ossequiosissime, ci abbiamo lasciato qualcosa come l’equivalente di 1200 Yen, tanto ci sono costate due misere cioccolate con tortina alle mele… Per cui, alla fine, tra una cosa e l’altra, abbiamo speso un capitale per lavare quattro panni che tutti insieme, quando li acquistammo, probabilmente non valevano tanto…

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