Il momento cloux della visita al monastero Mahagandayon è assistere al pasto dei monaci. Si tratta anch’essa, infatti, di una cerimonia sacra con i suoi riti, cadenze, etichette da seguire. Una occasione ideale per i turisti di farsi un’idea più accurata di come vivono i monaci buddisti. E per i locali di spillar loro qualche altro dollaro.
Del resto, si tratta di una vera e propria rappresentazione di religiosità collettiva che si ripete ogni giorno dell’anno da chissà quanto tempo. Che si tratti di una cerimonia in piena regola lo testimonia subito la solenne preghiera collettiva che introduce il pasto. I monaci si dispongono lungo tavoli lunghi e bassi, su più file parallele, accovacciandosi ciascuno davanti alla propria pentola che tengono tra le gambe. La preghiera è un lungo e sonoro mormorio semi atono, con qualche accenno più acuto, seguita in attonito silenzio da tutti gli astanti, turisti compresi.
Terminata la preghiera i monaci iniziano a mangiare in silenzio. Tra di loro, infatti, non sembra sia permesso chiacchierare mentre si desina. Il pasto consiste nel riso in bianco ottenuto in elemosina poco prima, lungo le strade della comunità, e qualche piatto di condimenti – rigidamente vegetariani – disposti sul tavolo davanti a loro. Non v’è presenza di acqua o altro liquido: evidentemente i monaci non ne hanno bisogno oppure non è consentito loro bere durante il pasto. Quando ci siamo andati noi, sui tavoli, dinnanzi a ogni monaco, si notavano pacchetti di carta argentata colorata. Ho pensato a delle patatine fritte, ma poi ho saputo che era sapone in polvere…
I monaci sono inoltre divisi in gruppi omogenei. I più anziani si accomodano in una zona più elevata. La loro posizione deriva dal prestigio che li caratterizza, naturalmente, e dal fatto che in questo modo è possibile osservarli anche dagli angoli più distanti del locale. Tutti gli altri uomini si dispongono più in basso, come detto, su file lunghissime; le donne e i bambini trovano posto in settori separati, riuniti in gruppi più limitati. Anche loro sono tenuti a rispettare il rigido cerimoniale del pasto silenzioso, ma per i bambini è più difficile stare quieti e spesso è possibile osservarli mentre scherzano e ridono tra di loro. Cosa che non sembra inquietare molto nè i monaci nè le persone che li circondano.
A questo punto invito a dare un’occhiata al comportamento degli abitanti dei villaggi che assistono al pasto. Sono gli stessi che poco prima stavano ai lati delle strade, distribuendo cibo e regali ai monaci e che hanno provveduto, a turno, a cucinare le salse e i condimenti necessari al pranzo. Dopo aver compiuto questo dovere inizia per loro un rito che sembra essere il vero momento importante di tutta la giornata. In fila indiana, camminando lentamente con le mani giunte dinnanzi al petto, queste persone iniziano a girare per le file di tavoli, recitando sommessamente e incessantemente delle preghiere.
Si tratta di una processione silenziosa, felpata, appena percepibile dai monaci impegnati a mangiare. A quanto pare gli abitanti dei villaggi confidano nella sacralità del luogo per ottenere qualche favore particolare dall’aldilà. Il movimento continuo di tanta gente che si intrufola tra i corridoi lasciati liberi dai tavoli non infastidisce nessuno, meno che mai i monaci, che prestano a tale fenomeno un’attenzione spenta e distratta. Ma per gli abitanti del luogo questo rituale è evidentemente tutto ciò di cui avevano bisogno per finalizzare nel migliore dei modi una giornata trascorsa al servizio del monastero.