La grande ruota della preghiera di Shangri-La

Come tutte le località in cui si mette piede per la prima volta, anche Shangri-La, malgrado la sua dimensione, merita almeno un giorno per ambientarsi, valutare le distanze, esplorare ciò che c’è intorno. Una giornata di quasi immobilità è peraltro opportuna visto che l’aria a 3000 metri e rotti è rarefatta e non è facile abituarsi (noi non ci siamo riusciti neppure in due giorni).

Ebbene, cosa c’è da fare e da vedere a Shangri-La? Si potrebbe rispondere d’istinto: non molto. La condizione di città-simbolo di un mito non ha arricchito l’antica e anonima Zhongdian di attrazioni particolari. La zona più famosa è senza dubbio una grande piazza quadrata lambita da un grazioso canaletto attraversato da due ponticelli in pietra. Su questa piazza si affacciano tutti i monumenti più importanti di Shangri-La. Da qui partono due vie in acciottolato che conducono a quello che a tutti gli effetti assomiglia a un “centro storico”. Un’area molto ben strutturata di vicoli e stradine su cui si affacciano eleganti case in legno dall’età non così antica quanto ci vogliono far credere.

La piazza è caratterizzata da una bella fontana a tre bocche. Questo monumento fa da zoccolo alla collina che si si erge davanti alla piazza principale. Sopra, a una distanza che a prima vista appare irrisoria – ma poi si scoprirà che non è così –  sorgono due graziosi templi buddisti ricoperti di filari di bandierine multicolori. A lato, si nota un enorme cilindro dorato, a forma di tappo, che sulle prima sembra una torre di avvistamento, come quelle degli aeroporti. Una splendida scalinata immersa in un giardino di pini, tuie e cedri conduce ai due templi e alla torre. E’ questa la prima impresa che i turisti, quasi d’istinto, intraprendono, sfidando mal di montagna e pioggia (che non manca mai in agosto).

Percorsi una trentina di gradini con il fiatone grosso, si raggiunge una specie di terrazza da cui è possibile scattare le immagini forse più affascinanti della piazza sottostante. Il luogo offre quindi il pretesto ideale per fermarsi e riprendere fiato, prima di affrontare le ultime rampe che conducono alle pagode e al cilindrone. Ma sono proprio questi ultimi gradini che spezzano il respiro.

La scalinata, infatti, è disseminata di gente seduta, piegata in due, perfino distesa sulla fredda pietra, in evidente stato di ipossia. Alcuni si attaccano parossisticamente alle bombole di ossigeno che si sono portati appresso. Questi oggetti vengono venduti in tutti i negozi e gli alberghi della città in varie forme e dimensioni e i turisti, specie cinesi, ne fanno davvero incetta. Sperano di ripristinare il livello di ossigeno minimo prima di dare l’assalto agli ultimi 10 gradini e raggiungere finalmente la meta della scalata, ossia il cilindro sacro dorato.

La ruota della preghiera

Questo monumento in realtà è la più grande ruota della preghiera del mondo. E’ alta 20 metri e – come tutte le ruote buddiste – deve essere girata in senso orario. Il problema è che per farlo sono necessarie almeno 3 o 4 persone. Quando sono arrivato io l’ho trovata stranamente ferma. Ne ho approfittato per farne qualche scatto e per affacciarmi dalla terrazza per ammirare il panorama della città vecchia. Ancora non avevo capito che quell’enorme “coso” aveva la capacità di ruotare su se stesso!… La mia attesa è durata comunque poco. Una comitiva di turisti cinesi piuttosto numerosa si è impadronita della terrazza e subito hanno dato il via al girotondo sacro.

L’operaziona avviene in questo modo. Le persone afferrano delle maniglie poste opportunamente a distanza regolare l’una dall’altra lungo tutta la circonferenza del cilindro, ad altezza del bacino umano. Il primo strappo è fondamentale, perché serve a mettere in moto l’ingranaggio e far acquisire al cilindro l’inerzia necessaria per proseguire a girare. Il guaio è che non sempre il primo strattone è sufficientemente energico. Ho assistito infatti a più di un tentativo, spesso coronato da risate, scivoloni, smorfie di sofferenza, per muovere la ruota di qualche centimetro, inutilmente.

Bisogna riconoscere che i cinesi che si dedicano a questa impresa o sono molto devoti oppure trovano la cosa estremamente divertente, perchè quasi nessuno desiste dopo la prima infruttuosa strattonata. Continuano pervicacemente a tirare i maniglioni, e se il loro numero non basta si uniscono ad essi nuovi turisti, finché la ruota inizia a muoversi con un rumore profondo e cupo di ingranaggi. Una volta preso l’abbrivio, il girotondo si fa sempre più veloce e il cilindrone inizia a girare in maniera fluida.

La missione dovrebbe compiersi una volta terminati i giri richiesti dalla pratica religiosa. Inoltre, bisognerebbe anche pregare mentre si gira, ma i cinesi che ho visto io non badavano ad altro che a far andare più veloce possibile il marchingegno, divertendosi come bambini alla giostra… Tale atteggiamento sollevava il biasimo dei tibetani locali, evidentemente sdegnati da tale mancanza di rispetto per le loro tradizioni e allo stesso tempo incapaci di intervenire in alcun modo, dato che il turismo interno è la prima fonte di reddito di Shangri-La.

Ancora una rampa di una ventina di scalini e si arriva al Golden Temple, il primo e più interessante dei due templi della collina. Anche qui occorre fare una precisazione. Il tempio, come il suo più minuscolo vicino, non è per nulla antico. Essendo in prevalenza di legno è stato costruito e ricostruito centinaia di volte e ciò che noi visitiamo non è altro che un facsimile post-datato. Tuttavia si tratta di un bell’esempio di architettura sacra cino-tibetana. Un cortile porticato esterno circonda l’area sacra e anche questo deve essere percorso rigorosamente in senso orario. Questa passeggiata, oltre a fornire alcune delle viste più suggestive sulla città, permette di riprendere fiato e di ridistribuire l’ossigeno alle membra stanche.

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