Andare in Myanmar, nel 2011, non era proprio un viaggio come gli altri. I cataloghi di viaggio la consideravano a malapena una destinazione turistica e quelli che se occupavano offrivano tour a prezzi stratosferici. Facile capire quindi perché la nostra scala di priorità vacanziere non prevedeva ai primi posti un paese come l’antica Birmania.
Nel febbraio del 2011 io e mia moglie eravamo a caccia di una destinazione per il nostro viaggio estivo. Avevamo in mente una meta asiatica, senz’altro, ma pensavamo piuttosto al Giappone; oppure l’idea folle era di tornare in India. Navigando sui siti di viaggio, mi sono accorto che Turisti per caso aveva un paio di relazioni interessanti proprio sul Myanmar, e ci ho dato un’occhiata.
Leggendo queste relazioni ho appreso – non senza un certo stupore – che molti italiani, in un modo o nell’altro, erano riusciti ad andare in Myanmar. Nessuno con mezzi totalmente propri; tutti si erano rivolti ad agenzie locali. Di una, in particolare, molti viaggiatori tessevano lodi sperticate. Era la Sonny Travel, o qualcosa del genere, di cui esisteva ufficialmente un sito piuttosto malandato e una mail. I relatori di turistipercaso.it ne parlavano in modo davvero lusinghiero e assicuravano che era l’unico tour operator birmano che avrebbe garantito un viaggio totalmente a misura e una guida in lingua italiana.
Il Myanmar nel 2011
Il Myanmar non era dunque una meta così fuori luogo. Ci siamo quindi posti la domanda cruciale: ci andiamo in Myanmar? Perché no, ma nel 2011 esisteva più di un motivo per mandare tutto all’aria prima ancora di programmare il viaggio.
In primo luogo, il paese era investito da una delicatissima situazione politica e sociale interna, al limite della guerra civile, con l’attuale presidente Aung San Suu Kyi, sempre in bilico tra prendere il potere e tornare in galera da un momento all’altro. Si parlava inoltre di economia a pezzi, di inflazione galoppante, di militari ovunque, di povertà più che diffusa; tutti elementi che non incoraggiavano la scelta del Myanmar come spensierata meta estiva.
I problemi rasentavano l’insormontabile per il fatto che, allora, non esisteva neppure l’ambasciata in Italia. Il Myamar era soggetto ad un embargo commerciale durissimo e quasi tutti i canali diplomatici erano stati azzerati. Dovendo necessariamente procurarci un visto, l’operazione sembrava quasi impossibile. L’unica via percorribile passava dal consolato francese: per ottener il visto bisognava appoggioarsi a loro oppure – cosa relativamente semplice ma molto più costosa – affidarsi ad una agenzia di viaggio specializzata.
Come al solito, comunque, il fattore che ha determinato la scelta è stato il prezzo del volo aereo. Per Bangkok, a giugno, con volo Egiptair, avremmo speso appena 460€. Da lì, con volo interno su Yangon, linea aerea Airasia, addirittura solo 56€! Con un budget considerevolmente ridimensionato in partenza, potevamo agevolmente affrontare il costo del visto, e quindi ci siamo chiesti: andare in Myanmar? Perché no. E ci siamo andati.