Le grandi città come Tokyo meritano senz’altro di essere visitate seguendo un punto di vista inconsueto. Quello del bighellone, del vagabondo, del senza fissa dimora. Di chi, in parole povere, non ha alcuna meta e molto tempo da perdere. Solo così è possibile apprezzare i luoghi che si visitano senza dover sottostare all’assillo degli orari, delle scadenze, degli itinerari predefiniti, delle cose da vedere a tutti i costi pena il fallimento totale della vacanza…
Tokyo, per di più, si presta benissimo a questa attività. La sua capillare rete metropolitana è ideale per spostarsi da un punto all’altro senza alcun criterio logico. Si sceglie una stazione di partenza e si scende alla prima fermata che capita. Tutto qui. Magari si scoprono nuovi quartieri, angoli incantevoli, posti interessanti che non fanno parte dei circuiti turistici. Questo giochino si può ripetere all’infinito – certo, gambe e tempo permettendo – ma posso assicurare che è il momento migliore di una vacanza che si rispetti. Solo quando sei libero dagli affanni del turista puoi dedicarti alla scoperta dei luoghi.
E’ essenzilmente questo il motivo per cui ho destinato altri due giorni pieni alla visita di Tokyo nel 2014. Mi premeva dedicare a questa città il meglio della mia attenzione, focalizzandola sui quartieri famosi che durante il primo soggiorno avevamo trascurato. Akihabara era uno di questi. Per chi non lo sapesse, Akihabara è un enorme e caotico distretto di Tokyo in cui la quasi totalità delle attività commerciali è dedicata ai prodotti tecnologici. Di qualsiasi tipo. Dalla telefonia, ai computer, agli strumenti musicali, ai videogames. Ma la lista potrebbe essere infinita, ed è impossibile rendersene conto se non addentrandosi nel fitto reticolato di vie e arterie che si aprono tra i grattacieli di Akihabara.
Che sia un quartiere particolare, anche per gli standard ultramoderni di Tokyo, si capisce subito. Qui le insegne sono più grandi, più esagerate, più luminose. Enormi schermi sciorinano pubblicità in continuazione, e quasi tutta di carattere tecnologico: nuovi smartphone, televisori ultra piatti, macchine fotocopiatrici velocissime… Ce n’è per tutti i gusti. Ma non solo. Ciò che immediatamente attira l’attenzione – almeno di noi occidentali – è la presenza di spot pubblicitari con soggetto fumettistico. In alcuni momenti sembra di assistere a un promo di Cartoon Network!
Gli eroi manga, che da noi sono seguiti da un pubblico adolescente e poco più, in Giappone al contrario rappresentano personaggi di una mitologia collettiva che riguarda un po’ tutti, grandi e piccoli. Per i giapponesi, per essere più chiari, guardare un cartone manga sul telefonino o leggere le avventure di una provocante eroina in minigonna e calze autoreggenti non è considerato infantile, o peggio, disdicevole. Quei personaggi fanno parte della cultura popolare giapponese, come da noi i miti dello sport o del gossip. E Akihabara è un grande e fantasmagorico contenitore di questa cultura.
A cui attingono a piene mani anche gli occidentali, bisogna dire. Ho visto una fila, su un marciapiede, che si snodava ordinata per parecchie centinaia di metri. Sulle prime ho pensato a qualche svendita in corso, un prodotto tecnologico qualsiasi che proprio quel giorno offrivano a prezzo scontato. Del resto, la maggior parte delle persone in fila erano occidentali, e a giudicare dal colore di pelle, occhi e capelli, dovevano essere del nord Europa o anglo-sassoni. Incuriosito – e nel mio intimo speranzoso di poter fare il colpaccio tecnologico della vita – ho percorso tutta la fila per vedere dove andava a finire. Dopo parecchi metri e molte svolte, mi sono trovato davanti all’ingresso di un negozio. Che non vendeva macchine fotografiche, cellulari, videocamere o qualsiasi altro prodotto che ha fatto la fortuna del made in Japan.
No, quell’immenso magazzino su tre piani vendeva esclusivamente fumetti. Di carta, ma anche giochi per le varie consolle in circolazione. E gadget di tutti i tipi: dai ciondoli ai portachiave, dai tappetini del mouse a soprammobili di tutti i tipi: e tutti con soggetto inequivocabilmente manga. Quel particolare giorno era destinato all’esordio mondiale di un nuovo fumetto: la lunghissima fila che avevo visto era composta quindi da appassionati e collezionisti di questo particolare prodotto. Molti probabilmente ci avevano attraversato l’oceano per essere lì, in ordinata e paziente attesa di poter acquistare il nuovo numero del proprio eroe manga preferito…
L’altra peculiarità di Akihabara – questa volta tutta giapponese – è la presenza di un numero imprecisato di sale di pachinko. Ce ne sono così tante che è impossibile non notarlo. Daltronde, una delle principali particolarità di questi luoghi è il fracasso. Il rumore prodotto dalle macchinette, frammisto alla musica ad alto volume che viene generosamente diffusa nelle sale, si espande anche fuori e investe i passanti anche parecchio distanti. E’ un frastuono infernale, e a dire il vero questi luoghi assomigliano molto a dei gironi infernali danteschi. Ma del pachinko, come luogo di svago o di perdizione, parlerò sicuramente in un altro post.