Dove dormire a Osaka? Non ci sono dubbi: a Namba, quartiere famoso per ospitare la mitica via di Dotonbori. Strada che rappresenta l’anima e l’essenza stessa di Osaka, se non addirittura di tutto il Giappone. In sostanza, se non vai almeno una notte a Dotonbori, allora non capirai cos’è il Giappone moderno.
Esagerato? Non credo. Dotonbori è uno dei posti più citati o richiamati direttamente dalla filmografia occidentale. Basti pensare a “Black Rain” del 1989, con Michael Douglas, che lo utilizza come scenografia essenziale per molte scene; oppure allo stesso “Blade Runner”, che in una visione distorta e futurista ne ha replicato luci, chiasso, fumi, odori.
Un quartiere, tuttavia, che per molte ore risulta addirittura anonimo. Arrivati a Osaka, infatti, io e mia moglie lo abbiamo cercato a lungo, muovendoci avanti e indietro lungo le vie adiacenti e attraversando più volte il canale che gli fornisce il nome. Ma di giorno è difficile individuarlo, a meno di non alzare lo sguardo e non scorgere un portale – tipicamente giapponese – che introduce ad una via per gran parte del giorno appena trafficata. Su questo portale, piuttosto squallido, è inciso a caratteri giapponesi e latini la parola Dotonbori. Potrei dire che, alloggiandoci, era più vivace il dirimpettaio quartiere cinese…
Tutto cambia all’imbrunire, ovvero non appena l’elettricità fornisce la linfa vitale a luminarie, pannelli pubblicitari, lampioni, insegne, lampade di ogni tipo. Allora il miracolo si compie. La strada esplode letteralmente di luce, colori e confusione; un flusso ininterrotto di gente, in gran parte autoctoni, la invade da tutte le sue entrate per andare a perdersi nel suo intricato dedalo di ristoranti, locali, pachinco, pub, negozi di souvenirs e caffè. Le guide turistiche descrivono Dotonbori come la mecca della ristorazione ad Osaka, affermazione che non mi sentirei di smentire a meno di non considerare che i ristoranti sono molteplici, è vero, e alcuni di essi raggiungono le vette della prelibatezza giapponese, ma non tutti sono alla portata delle nostre svalutate tasche europee.
Ad ogni modo, il primo incontro mozzafiato che si ha non appena varcato il famoso portale di cui sopra, è un enorme granchio gigante semovente, dai colori vivaci, che dall’alto di un palazzetto protende le sue enormi chele sulla gente, invitandola ad entrare nel ristorante sottostante, evidentemente specializzato nella cucina di questo crostaceo. E’ un incontro impressionante, ma non l’unico del genere; a quanto pare a Dotonbori è prassi decorare l’ingresso del proprio locale con qualcosa di particolarmente kitch, se possibile, che attira più scatti fotografici che altro, ma tant’è, la publicità è tutto. Un altro luogo che non passa inosservato è un ristorante di ramen, credo, molto famoso, che espone all’ingresso una serie di enormi e coloratissimi draghi.
A tavola con il pesce Fugu
A parte le esagerazioni, Dotonbori è famoso ai professionisti del palato per un piatto particolare, il pesce fugu, ovvero il comunissimo (in Giappone) pesce palla. Che viene cucinato in molti locali e localini, alcuni semi nascosti, altri più evidenti. La caratteristica di questo alimento è che il pesciolino possiede delle carni molto prelibate; peccato che abbia anche una vescica ripiena di un liquido velenosissimo, tale da ammazzare chiunque lo assaggi. Tale vescica è disposta in un punto interno, nascosto, quindi il rischio che si possa rompere è elevatissimo. Il pericolo è talmente presente che in Giappone solo alcune persone esperte ed espressamente autorizzate possono servire la pietanza, dal momento che sono pochi coloro in grado di filettare il pesce evitando di rompere la vescica.
Molti avventori sono occidentali e provano il fugu non per il piacere culinario intrinseco, quanto per assaporare il brivido del rischio di mangiare qualcosa che, potenzialmente, potrebbe mandarli all’altro mondo in un amen. Una specie di metoforica roulette russa, dove però nessuno si fa male davvero, escluso il conto in banca, visto che il fugu, soprattutto a Dotombori, costa un occhio della testa.