Storia di Sigiriya, la fortezza del re libertino

Una escursione alla rocca di Sigiriya non ha senso senza conoscere, almeno a grandi linee, la storia di questo storico luogo. Inutile affrontare i 230 metri di dislivello, i 1000 passi (o 2100 gradini, dicono alcuni) di ascesa, il caldo infernale, la calca, le vertigini quando poi, arrivato in cima, ti trovi davanti a un mucchio di rovine e ti chiedi “ma chi me l’ha fatto fare!”. Se Sigiriya oggi è un Patrimonio mondiale dell’Unesco ed è considerata quasi l’ottava meraviglia del mondo, qualche motivo valido ci dev’essere per forza. E io – modestamente – cercherò qui di illustrarlo, brevemente.

La storia di Sigiriya inizia e finisce con il re che l’ha costruita. Questo personaggio, di nome Kashyapa, non era altro che il figlio “naturale” del re di Anuradaphura, e in quanto tale impossibilitato a succedergli sul trono. Nondimento, essendo comunque il primogenito, Kashyapa eliminò il padre, prese il potere ed esiliò il fratello minore in India. Temendo l’inevitabile vendetta di quest’ultimo, preferì non esporsi troppo restando sulla piana di Anuradaphura e costruì una cittadella in cima ad un monolite di roccia vulcanica, Sigiriya appunto, che in breve divenne una fortezza praticamente inespugnabile.

Quassù, al riparo dal fratello rancoroso, da occhi indiscreti e da qualsiasi forma di controllo, per circa 20 anni Kashyapa condusse una vita dissoluta e piacevole circondandosi di concubine, musici, poeti e artisti. Sigiriya divenne in pratica la sua personalissima città dei balocchi, un luogo di lusso e lussuria destinato – come tutti i paradisi in terra, specie quelli realizzati dall’uomo – a disfarsi nel modo più terribile e disastroso.

Nel 495, infatti, il fratello minore, legittimo erede al trono, riuscì a racimolare un esercito sufficientemente numeroso per affrontare il re e sconfiggerlo definitivamente. Kashyapa si suicidò, la cittadella conquistata e tutte le strutture presenti, compreso il magnifico palazzo, rase al suolo. Il nuovo re consegnò Sigiriya ai monaci buddisti che la trasformarono in un monastero per i successivi 700 anni. Poi, fu abbandonata anche da questi e solo all’inizio del Novecento un esploratore inglese riuscì a rimetterci piede.

Un affresco di Sigiriya
Un affresco di Sigiriya

Le testimonianze dell’antica vocazione al divertimento di questa città sono tuttora moltissime. A cominciare dai meravigliosi affreschi che sono ancora visibili sulle pareti dei camminamenti interni che avvolgono la roccia. Le figure dominanti sono quelle di bellissime donne, peraltro particolarmente procaci, raffigurate sempre a seno nudo e in atteggiamenti quanto mai suadenti. Da queste scene è facile intuire quanto dovesse essere piacevole la vita del re Kashyapa, di fatto l’unico beneficiario di tale abbondanza femminile.

Il muro riflettente di Sigiriya
Il muro riflettente di Sigiriya

Un altro luogo particolarmente affascinante è il cosiddetto muro riflettente, un lungo corridoio scavato nella roccia le cui pareti sono così lisce da farle sembrare degli specchi. La proprietà riflettente in questione è perlomeno discutibile. Secondo la leggenda – e per quanto si affannino a dimostrare le guide locali – le concubine erano in grado di guardare ciò che succedeva fuori dalla rocca osservandone semplicemente il riflesso su questo muro miracoloso. Il che appare quanto meno opinabile, data l’estrema opacità della roccia…

Ma la vera bellezza di Sigiriya, che rapisce e affascina chiunque abbia un minimo di considerazione per la sua storia, è la struttura urbana della cittadella costruita sulla sommità della rocca. I resti dell’imponente palazzo reale dominano su tutto e rendono bene l’idea di quanto fosse articolato e maestoso questo enorme edificio. La presenza di numerose vasche per la raccolta dell’acqua, inotre, indica che la progettazione della fortezza fu realizzata fin nei minimi particolari, senza lasciare nulla al caso. Ed è un peccato che oggi non sia rimasto molto da ammirare. La furia degli eserciti ha ridotto ogni struttura alle sue fondamenta. La natura, poi, ha fatto il resto.

L’ultima rampa, l’accesso principale alla rocca, una volta era rappresentato dalla bocca spalancata di un enorme leone. Si accedeva ad essa tramite una rampa di scale di pietra e mattoni ricavata tra le zampe dell’animale. La testa del leone è crollata qualche secolo fa, erosa dalla furia degli elementi atmosferici e qualche terremoto; la scalinata è stata distrutta dall’incuria e dalla pioggia. Sono rimaste solo le due zampe del leone a fiancheggiare la prima rampa di scale, recentemente restaurata. Ma anche così, lo posso assicurare, lo spettacolo è grandioso e ripaga di tutta la fatica necessaria per arrivare fin quassù.

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