Kayaking nella baia di Ha Long: ne vale la pena?

La prima giornata di crociera nella Baia di Ha Long prevede quasi sempre una tappa dedicata al puro svago. Sulla carta si tratta di raggiungere un angolo piuttosto pittoresco di mare e dedicarsi ad una divertente pagaiata in kayak. In realtà la sosta risponde ad una esigenza più veniale: costringere il povero turista a visitare una azienda che si occupa – tanto per cambiare – della coltivazione delle ostriche da perla.

E’ indubbio che l’offerta di andare in giro per Ha Long su un kayak rappresenta il classico specchietto per le allodole per i turisti affamati di avventura ed emozioni. Una esca oggettivamente perfetta che attira soprattutto l’interesse dei più giovani e dei bambini. Qualcosa a cui neanche il padre meno propenso può opporsi. In questo modo, anche chi non è attratto dall’idea di mettersi in gioco su un barchino instabile, nondimeno è costretto comunque a partecipare alla gita. Non sapendo che fare, mentre gli altri si dedicano alla pagaiata, si trova invischiato, involontariamente, con ostriche e perle. E prima o poi, qualcosa la compra…

Il piccolo molo galleggiante da cui inzia il kayaking

Le ragioni per fare kayaking

A parte il contesto vampiresco, l’escursione all’azienda è un momento di relax e di genuino divertimento. Chi ama il kayaking non può tirarsi indietro. Non esiste infatti luogo più straordinario, dal punto di vista paesagistico, dove mulinare la propria pagaia e godersi il panorama. Inoltre – cosa da non sottovalutare – il mare è sempre calmo, visto che è circondato da una vera e propria cintura di isolette contigue. Anche i meno esperti, insomma, non hanno nulla da temere. I kayak, inoltre, sono modelli da principianti: larghi, piatti, stabili in modo quasi imbarazzante. Neanche il più energico scossone laterale li può fare ribaltare, garantito.

La tipologia di kayak offerta, l’unica disponibile in realtà, è quella “double”: due posti, uno avanti uno dietro a distanza di circa un metro l’uno dall’altro. Sono le imbarcazioni giuste per le coppiette giovani e anziane e – in misura rilevante – per i genitori con figli piccoli a carico. Ma forse è solo un modo per ottimizzare l’uso delle imbarcazioni e ridurre i tempi morti tra una partenza e l’altra. E’ obbligatorio indossare un goffo e ingombrante giubbotto di salvataggio. Io l’ho trovato fin troppo stretto e angusto per i nostri toraci occidentali, tantevvero che ho faticato alquanto ad allacciarlo correttamente.

Dal momento in cui t’imbarchi hai solo tre quarti d’ora per andare e tornare indietro. Non un minuto di più. Le rispettive navi ci aspettano per il proseguo dell’escursione, la giornata non è così lunga come ti fanno credere i programmi di viaggio e i tempi sono davvero ristretti. Di conseguenza, è vitale capire subito dove andare e in che modo arrivarci nel minore tempo possibile. Il che introduce il discorso di come sincronizzare le tue pagaiate con quelle del tuo compagno di avventura. Perché se uno dei due non è esperto della cosa, o addirittura è la prima volta che sale su un kayak, allora sono dolori!…

La scienza del kayaking perfetto

E’ ciò che è successo a me. Il mio compagno di kayak era Danilo, il figlio ventenne dei nostri amici Daniela e Sergio. L’unico, comunque, ad avere il coraggio di affrontare la prova. D’altronde, io avevo un disperato bisogno di un compagno e lui era l’unico disponibile. Ci siamo infilati nell’imbarcazione con tutta la circospezione del caso, ma ben presto ci siamo resi conto che la stabilità del mezzo sarebbe stato l’ultimo dei nostri pensieri. Il vero problema era un altro ed è emerso subito: non riuscivamo a pagaiare in modo coordinato.

Ho cercato di impartire frettolosamente a Danilo i primi rudimenti del kayaking. Come accomodarsi correttamente, come impugnare la pagaia, come immergerla in acqua e farla emergere, come spingere con la spalla per economizzare le energie. Per avere la situazione sotto controllo l’ho fatto sedere davanti. In questo modo lo avrei controllato in ogni movimento e – soprattutto – avrei agito da timone per rimettere in rotta il kayak all’occorrenza. Cosa che ho dovuto fare più spesso di quanto desiderassi.

In parole povere, prima di poter raggiungere un accettabile livello di sincronizzazione che ci permettesse di viaggiare ad una velocità accettabile, abbiamo faticato le proverbiali sette camicie. E in un quarto d’ora appena ci siamo trovati sudati e affaticati sotto l’implacabile sole tropicale ad appena 200 metri dal luogo di partenza. In pieno mare, circondati dalle boe di coltivazione delle ostriche e ben lontani dalla meta che ci eravamo prefissati. Una debacle in piena regola!

La rivincita degli imbranati

Intorno a noi, peraltro, pareva che nessuno avesse la benchè minima difficoltà. Molti kayak ci sfilavano accanto ad una velocità più che doppia rispetto a noi. Una coppia di anziani signori francesi ci ha superato, ad un certo punto, tagliandoci perfino lal strada e filando via dritti come fusi verso l’orizzonte. Mai come allora ho provato una vergogna così profonda! E senza neppure guardare in faccia il mio compagno di sventura, mi sono reso conto che anche lui stava provando i miei stessi sentimenti.

Ma è quando le difficoltà appaiono insormontabili che interviene una virile e sana reazione. Improvvisamente ci siamo sentiti inondati da una sovrumana volontà di fare qualcosa, qualunque cosa, pur di non passare come gli ultimi della classe, i più deficienti, gli imbranati della compagnia. E’ un complesso di emozioni, stati d’animo, pulsioni che a Roma si traducono in una sola, efficacissima parola: tigna. La tigna, insomma, ci ha dato l’ultima spallata, quella decisiva a evitare che restassimo piantati al centro della baia come una balena spiaggiata in crisi d’asma…

Ci siamo dati subito alcune istruzioni secche e precise. La nostra pagaiata è diventata più efficente, più potente, più performante. Ho capito finalmente perché tendevamo a girare intorno verso sinistra: Danilo forzava di più quando pagaiava a destra. Di conseguenza, ho compensato io pagaiando con maggiore energia a sinistra. E in breve abbiamo raggiunto quel minimo di coordinamento che ci ha permesso di rimetterci in modo, di andare tendenzialmente dritti e soprattutto di raggiungere, nel breve volgere di pochi minuti, la zona più nascosta e suggestiva della baia.

Le boe di segnalazione degli allevamenti di ostriche

Il resto della gita è stato davvero gradevole. Finalmente sciolti e più spediti, ci siamo inoltrati all’interno di un golfetto che nascondeva alcuno scorci favolosi. In alcuni punti le pareti scendevano a picco sul mare come muraglioni lisci e scoscesi; un paio di grandi fessure nella roccia rivelavano la presenza di grotte dentro cui i kayakisti, a turno si infilavano. Anche noi abbiamo visitato l’ingresso (ma non siamo andati oltre) di una grande cavità che sembrava perdersi all’interno della montagnia in una oscurità misteriosa e un tantino inquietante.

L’escursione è terminata aggirando l’area predisposta all’allevamento delle ostriche. Una lunga serie di piattaforme, delineate da boe di segnalazione, che in pratica occupava gran parte della zona navigabile. Nondimento, avendo trovato un ritmo accettabile, abbiamo completato il giro e siamo tornati alla base in tempo. Danilo è sceso dal kayak visibilmente soddisfatto, malgrado la stanchezza. Io ho dovuto trovare un compromesso con il mio cronico mal di schiena che, complice la scomoda posizione in barca, era andato crescendo nel corso del tempo. Ma ne era valsa la pena.

Per questo concludo questo articolo rispondendo alla domanda iniziale in modo affermativo. Sì, malgrando la massificazione, la fretta, la superficialità di alcuni servizi, lo stato non proprio recente di molte imbarcazioni, vale la pena fare kayaking nella baia di Ha Long!

 

 

 

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