Il tavolino basso, estrema tortura giapponese

Cosa non farebbe un turista medio (come me) per amore dell’avventura?… Tutto e di più, se possibile, perché la regola in viaggio è la seguente: se ti capita qualcosa di indimenticabile, di bizzarro, di estremamente improbabile, allora è il momento di farla, senza pensarci due volte, chiudendo gli occhi e sperando che dopo non ti lasci addosso qualcosa di spiacevole.

E’ il caso di una cena in un ristorante tipico giapponese, quello, per intenderci, in cui i tavoli e le sedie sono a livello del terreno. La follia consiste in questo: malgrado tu sappia benissimo che mangiare accovacciato per terra equivale a rischiare la lombalgia o crampi dolorosissimi, lo fai lo stesso, pur di poter affermare: ho mangiato come un vero giapponese!

I locali che hanno al loro interno ambienti simili alla foto sono molti. Sono generalmente collocati sopra il livello del pavimento – dove bisogna lasciare le scarpe – divisi l’uno dall’altro da paratie di legno, arredati con tavoli alti non più di 25 cm dal terreno circondati da cuscini molto poco confortevoli. Alcuni, invece, hanno vere e proprie sedie con tanto di spalliera, ma senza le 4 gambe. Sono luoghi molto affascinanti, bisogna ammetterlo, in cui i turisti farebbero carte false pur di assicurarsi il privilegio di pranzare o cenare. In queste nicchie, in genere separate dal resto degli ambienti più tradizionali, si consuma lo stesso pasto servito altrove nel locale, ma con una ritualità e una solennità che appaga lo spirito e lo stomaco. E anche il conto è sensibilmente più salato.

In breve, la tortura consiste in questo. Si entra in uno di questi locali affascinati dall’atmosfera, dagli odori, dalla gentilezza estrema dei camerieri, incuriositi e intimoriti allo stesso tempo. Ti conducono al tavolo prescelto (da loro), accompagnando ogni gesto, ogni passo, ogni sorriso con una serie esagerata di inchini. Appena dai uno sguardo al tavolo capisci di aver fatto una sciocchezza: ti chiedi subito come sarà possibile disporsi vicino al desco piegando le gambe sotto il bacino e sedendoti sopra i calcagni, come fanno loro.

Dai una fugace occhiata intorno per capire come si comportano gli altri e noti con angoscia che non ci sono altri turisti: i pochi che avevi intravisto prima hanno deciso di mangiare seduti regolarmente nella stanza accanto, preferendo la triste convenzionalità della sedia a quattro gambe piuttosto che il fascino del cuscino giapponese. Gli unici avventori che ti circondano sono invariabilmente giapponesi, e loro sembrano perfettamente a loro agio in quella posizione accovacciata.

Pertanto, non ti rimane altro che rassegnarti. Ti pieghi, provi a sistemarti sui tuoi polpacci ma neppure dopo un minuto cominci a sentire i crampi che si propagano per le gambe raggiungendo tutte e dieci le dita dei piedi. E’ chiaro che la posizione è insostenibile. Allora ti sistemi su un lato, ma neppure allora trovi pace; ti metti seduto con le gambe raccolte davanti, ma così non riesci a mangiare; incroci le gambe come un santone indu, ma anche quella posizione, almeno per me, è impraticabile, sono troppo legato…

L’unico sistema per sedermi senza subire troppi sfasci è disporre le gambe sotto il tavolino (ci passano appena), e allungarle il più possibile. Non è elegante, lo so, non è tradizionale, ovviamente, ma ti aiuta molto, almeno durante il pasto. Perché dopo, quando ti alzi, arrivano i dolori, nel senso letterale del termine: la rigida posizione a 90 gradi, senza avere quasi nessuna possibilità di muovere le gambe, ti ha irrigidito la schiena a tal punto che anche semplicemente rizzarti su diventa un’impresa titanica. Il sangue, che si era ammucchiato chissà dove, torna a circolare dal bacino in giù e ti costringe a muoverti come un fantoccio, perlomeno per i primi passi, perché tutto senti meno che il tuo corpo… E dopo che vedi il conto, i dolori aumentano, e quelli rimangono anche dopo, posso assicurarlo.

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