La mia prima esperienza con i bus laotiani

Viaggiare con gli autobus, in Laos, fino a qualche anno fa era ritenuta una impresa sconsiderata e perfino pericolosa. I bus laotiani avevano fama di essere piuttosto sgangherati, poco sicuri,  rottami su due ruote, insomma, buoni al più a trasportare galline e merci. I pochi che potevano salvarsi erano alcuni pullman di linea, a lunga percorrenza, che però non si distinguevano certo per pulizia e comodità.

Pericoli e incidenti stradali

Ciò che impensieriva seriamente era il pericolo di essere aggrediti e svaligiati. Proprio così. Fino a poco tempo fa la minaccia rappresentata da un attacco da parte di guerriglieri o banditi, specie sulle tratte notturne, era un fattore da prendere seriamente in considerazione. C’erano strade tristemente famose per questo genere di attività delinquenziale. I banditi (o i guerriglieri, a seconda dell’area interessata) si appostavano, meglio se di notte, e assalivano i bus o le automobili dove pensavano potessero viaggiare dei turisti. Di conseguenza, le compagnie di trasporto sono corse ai ripari assoldando uomini armati per proteggere carico e viaggiatori.

Anche noi abbiamo assistito ad una scena piuttosto scioccante: nel nostro viaggio notturno di ritorno a Vientiane – di cui parlo qui – abbiamo visto salire due giovani in borghese ma armati di AK47, arma che hanno prontamente nascosto sotto il sedile. Sulle prime ho pensato: ecco, ci siamo, adesso ci ammazzano tutti. Invece erano le nostre guardie del corpo, che ci scortavano verso la meta in quella lunga notte buia.

L’altro grande pericolo delle strade laotiane sono gli incidenti stradali. Fino a qualche anno fa gli incidenti erano così frequenti e catastrofici che si parlava di vero e proprio mattanza sulle strade. Confesso che questo aspetto del viaggio era fra quelli che più di ogni altro mi preoccupava. Tuttavia non avevamo scelta: la strada era l’unica via di comunicazione per il nord del paese. L’unica alternativa valida: il fiumne Mekong,  perfettamente navigabile, è vero, ma preso “contro corrente” ci avrebbe fatto perdere almeno due giorni di viaggio.

Prima tratta in autobus

La nostra prima esperienza con i bus laotiani riguardava il trasferimento da Vientiane a Vang Vieng. Circa 160 chilometri che in Laos si coprono in 5 ore abbondanti. Abbiamo acquistato il biglietto direttamente in albergo: la commissione era talmente esigua che ci sembrava folle mettersi in cammino nel caldo umido della città per cercare una agenzia autorizzata. Probabilmente avremmo risparmiato solo qualche centesimo rispetto ai 6 euro a cranio che abbiamo pagato in albergo.

La prima tratta prevedeva lo spostamento dal centro di Vientiane alla stazione degli autobus, collocata a nord della città. Il mezzo che ci hanno fornito è quello che si vede in foto: un autobus con sedili laterali, praticamente senza finestrini e senza bagagliaio, come si intuisce dalle valigie ammucchiate in primo piano. Una specie di autobus urbano a nostra disposizione, insomma. I nostri compagni di viaggio erano tre coppie di cinesi di Singapore; costoro non hanno fatto altro che scattarsi foto tra loro senza dedicare neppure un minuto a ciò che li circondava fuori.

Il mezzo che ci avrebbe portato a Vang Vieng era invece una vecchia corriera di linea fornita di aria condizionata e sedili reclinabili, tutte caratteristiche ampiamente pubblicizzate nel depliant che ci avevano fornito in albergo. I posti a sedere erano quasi senza molle e risultavano eccessivamente infossati. La tanto decantata reclinabilità delle spalliere, poi, era un mito che nessuno è riuscito a sfatare…

Siamo rimasti inoltre piuttosto sconcertati dalla temperatura che vigeva all’interno della cabina: penso che non raggiungesse i 16 gradi. Rapportata ai 36 umidi di fuori, sembrava di essere entrati in un frigorifero. Questa è un aspetto dominante di qualsiasi mezzo a motore in Laos (tranne i camioncini senza finestre): temperature siberiane dalle quali è difficile difendersi efficacemente. Consiglio quindi di fornirsi di felpa, per coprire le parti alte e la testa (con il cappuccio); allo stesso tempo, tirare fuori anche una asciugamani, o un’altra felpa, da mettere sulle gambe, perché è lì che, prima o poi, si comincia a sentire davvero freddo.

La traversata prevedeva due stop per mangiare ed esplicare i bisogni corporali. Le cosidette aree di servizio erano delle orribili costruzioni di cemento ricavate in uno spiazzo sgombro dagli alberi.  Gli ambienti in sostanza erano due, devo dire pericolosamente contigui: i bagni e il market, dove offrivano anche da mangiare qualcosa di cucinato lì per lì. I bagni erano assolutamente spartani. Quelli degli uomini, dedicati ai bisogni brevi, consistevano in una parete di alluminio di circa un metro e mezzo contro cui dirigere lo zampillo. Le toilette vere e proprie erano delle capannine di legno, rialzate rispetto al piano stradale, la cui unica chiusura era una porta ad ante tipo saloon americano. All’interno, è ovvio, nessuna traccia di water. C’era solo un profondo buco nero, posto in mezzo a due pedane di legno sudice, da cui provenivano lezzi da far accapponare la pelle…

 

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