Il castello di Osaka

Osaka è una città caotica, nevrotica, affollata all’inverosimile, esagerata in ogni sua manifestazione urbana. Eppure conserva angoli di pace e silenzio che sembrano irreali, come il parco del castello di Osaka.

Si tratta di una vastissima zona verde, ricca di boschi, siepi ordinate, sentieri silvani, fontane e fontanelle di tutti i tipi e dimensioni, che conduce, al suo punto più elevato, verso il monumento (ricostruito) più rappresentativo della città, un castello in stile shogun del XVI secolo.

Il castello di Osaka, visto dall’entrata principale

Il castello di Osaka appare infatti come una elegante e massiccia costruzione a tetti spioventi, in un impeccabile manto bianco, che sovrasta qualsiasi altro edificio nel raggio di parecchi chilometri. Per entrare bisogna pagare un biglietto e mettersi pazientemente in fila indiana, dal momento che i corridoi e le scale sono molto strette e l’ascensore è talmente affollato da farti passare la voglia di aspettare il tuo turno. La scalata, ad ogni modo, compensa la fatica. Ogni piano è occupato da oggetti, suppellettili, modelli in scala rapprentativi del glorioso passato di questa fortezza feudale; ed è interessante – anche allo scopo di prendere fiato – fermarsi e dare un’occhiata ai pannelli informativi che ne raccontano fortune e tragedie. Che sono davvero molte, tra assedi, distruzioni, ricostruzioni, ampliamenti, nuove distruzioni, ecc..

L’ultimo piano è interamente occupato da un balcone panoramico dal quale, a 360 gradi, è possibile ammirare il paesaggio urbano di Osaka e scattare qualche buona foto. Occhio comunque alla folla: la maggior parte della gente si ammassa proprio qui per fare selfies e scatti a raffica, e molti non si schiodano dalle postazioni panoramiche più suggestive, costringendo gli altri a cambiare vista o ad aspettare pazientemente il proprio turno.

La discesa, anch’essa ordinatamente in fila indiana, è naturalmente più spedita, perché molti non vedono l’ora di tornare sulla terra ferma e godersi la frescura del parco. La raccomandazione è di andarci di mattina presto o di pomeriggio dopo pranzo, dato che il sito in estate chiude presto, e non c’è verso di convincere i custodi a derogare.

Panorama dalla sommità del castello di Osaka

Il parco del Castello di Osaka ospita un laghetto, non troppo esteso in verità, che offre riparo ad una minuscola colonia di nutrie sudamericane. Non perdete tempo a chiedervi perché dei roditori del nuovo mondo siano finiti così lontano; daltronde, anche a Roma esiste una spensierata comunità di castorini sudamericani, e nessuno batte ciglio. Ci sono e basta, e sono piuttosto espansivi. Uno di loro, vedendomi fermo sulla riva, si è avvicinato con fare deciso e senza darmi il tempo di elaborare una benché minima strategia di difesa, si è ficcato tra i miei sandali annusandomi i piedi. Cosa che mi ha lasciato senza parole e vagamente inquieto, considerando la formidabile dotazione di incisivi di questi roditori. Esaurita la curiosità olfattiva, comunque, l’animale s’è voltato e con la stessa andatura dell’andata è tornato tranquillamente in acqua.

Il parco del Castello, inoltre, può essere l’occasione di assistere ad un fenomeno antropologico abbastanza peculiare, in Giappone: le danze di gruppo, considerate più come ginnastica che come coreografia di massa. Anche noi ci siamo imbattuti in parecchi gruppetti che ballavano danze a metà tra la Macarena e le danze tribali thailandesi, ma è stato uno in particolare che ci ha davvero sorpresi. Si trattava di un eterogeneo gruppo di persone, di varia estrazione, giovani e vecchi, che ballavano sulle note di vecchie canzoni anni Sessanta americane, diffuse da una radio malandata. La cosa divertente era l’aspetto dei partecipanti, specie quelli che sembravano più anziani: erano infatti tutti abbigliati e acconciati come teddy boys degli anni Cinquanta, con tanto di capelli impomatati, occhialoni Rayban, jeans stretti e alti sulla caviglia, camicie aperte e catenone ai fianchi. Uno spettacolo. E tutti, quando si vedevano ripresi, sfoderavano larghissimi sorrisi, del tutti incuranti di sfoggiare più varchi che denti.

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