La Giordania è uno dei pochi luoghi al mondo in cui la storia si calpesta ad ogni passo. Dovunque è possibile ammirare edifici, templi, teatri, strade, minareti che testimoniano quanto siano antichi i luoghi che stiamo visitando. E ce n’è per tutti i gusti, come si suol dire. Dalla preistoria agli Ottomani, passando per Nabatei, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Turchi e Crociati. Per chi, come me, è sempre stato affascinato dal periodo medievale, e soprattutto dall’incontro/scontro delle due grandi civiltà, quella cristiana occidentale e quella araba, la Giordania rappresenta il paese ideale dove poter confrontarsi con la storia nei luoghi in cui è realmente accaduta.
E non c’è posto più affascinante del castello di Ajlun (o Ajloun) per farlo. Una poderosa fortezza eretta nel 1184 su una collina a guardia di tre fertili vallate, che aveva anche lo scopo di proteggere le preziose miniere di ferro collocate poco distanti. Il nemico era sempre lo stesso, da almeno un secolo: i crociati, che dal 1099 si erano impossessati di gran parte dei territori vicini, compresa Gerusalemme, e minacciavano costantemente le rotte commerciali arabe tra l’Egitto e Damasco. In realtà, al tempo della costruzione di Ajlun il Regno di Gerusalemme aveva ormai le ore contate: la città santa sarebbe caduta infatti qualche anno dopo, nell’ottobre del 1187, grazie all’azione decisa e definitiva del grande Saladino.
La caduta di Gerusalemme, tuttavia, non decretò la fine del Regno crociato in Terra Santa. I Franchi (come li chiamavano gli arabi allora) riuscirono a tenere molte aree, un po’ a macchia di leopardo, all’interno del vasto territorio che va dal Mar Mediterraneo alla Siria, al Libano e alla Giordania, e soprattutto un paio di porti strategici come Acri e Tiro. Disseminarono il territorio di castelli e fortezze praticamente imprendibili (come Kerak in Giordania e Krak dei cavalieri in Siria), che rappresentavano quindi un pericolo costante per i commerci e le attività economiche delle aree contese. La risposta dei turchi fu la costruzione di fortezze simili, se non più efficienti e agguerrite, come Ajlun appunto, attuando in tal modo una strategia di accerchiamento e logoramento delle enclavi cristiane rimaste.
Sappiamo tutti come è andata a finire. Nella primavera del 1291 i turchi riuscirono a conquistare l’ultimo lembo di cristianità rimasta in Terra Santa, ovvero il porto di Acri. Da quel momento in poi il dominio dell’Islam sull’area non sarebbe stato più contestato. Almeno fino ai giorni d’oggi e alla creazione dello stato di Israele.
Questa digressione storica serve a inquadrare meglio cosa rappresenta Ajlun, oggi, per la Giordania e per i suoi visitatori che, in gran parte – bisogna tenerlo ben presente – sono cittadini di fede islamica. Si tratta di un simbolo, un monumento alla loro storia e allo stesso tempo un motivo per essere orgogliosi della propria identità nazionale. Protette da quei spessi muri, infatti, sono nate le comunità che adesso vivono pacificamente nelle valli sottostanti e che accolgono i turisti con la consueta, magnifica, ospitalità mediorientale.
Raggiungere Ajlun in automobile, però, non è proprio una passeggiata. Il percorso è piuttosto articolato, dovendo affrontare un territorio montuoso e trafficato. La strada peraltro attraversa spesso il centro di villaggi e cittadine di medie dimensioni, determinando un rallentamento dell’andatura, code, deviazioni impreviste, veri e propri momenti di panico quando la strada si inerpica a 30 gradi oppure, ancora peggio, scende giù in picchiata. Occorre dotarsi di molto sangue freddo e di un controllo totale del mezzo per evitare di slittare o andare a sbattere contro qualche muro. Per questo motivo consiglio sempre di noleggiare un’auto di grossa cilindrata.
Ad ogni modo, seguendo le indicazioni di Google Map, si è in grado di arrivare sani e salvi a Ajlun. O meglio, presso una collina che dai primi contrafforti appare eccessivamente popolata. E’ questo il momento in cui si materializzano i peggiori incubi di un automobilista: riuscirò a trovare un parcheggio? Dalle prime svolte della strada, infatti, sembra che tutti i visitatori siano alla ricerca affannosa di un posto auto, da trovare ad ogni costo sul ciglio della carreggiata, anche in posizioni non proprio agevoli. Sembra quindi che non esista alcun parcheggio pubblico e che tutto sia lasciato alla fortuna e/o alla prepotenza di chi possiede l’auto più grossa.
Niente di più sbagliato. Ad Ajlun il posteggio c’è, eccome, è piuttosto grande ed è soprattutto gratuito. Si trova alla fine della strada, ovviamente, sulla parte piana di una collina di fronte ad un edificio da cui parte una graziosa teleferica. Quindi suggerisco di non lasciarsi andare all’emulazione di ciò che fanno gli autoctoni, ma di proseguire verso l’alto finché non si raggiunge lo spiazzo con le indicazioni dei vari posteggi presenti.
Lasciata l’auto, basta seguire il flusso di chi non va verso la teleferica, ovvero la maggior parte delle persone. A circa 300 metri dall’ingresso alla fortezza c’è il botteghino dei biglietti. Se non si è in possesso del Jordan Pass, bisogna sganciare 3 dinari giordani.
Il castello appare quasi subito in tutta la sua maestosa… rovina. La costruzione, infatti, è ridotta molto male, sembra quasi essere stata devastata da un terremoto o peggio. Ma a questo punto bisogna fare una precisazione: quando parliamo di castelli, siamo portati a pensare ai manieri medievali che sorgono un po’ dappertutto in Europa, da Nord a Sud, e che in genere sono splendidi edifici, in ottime condizioni, il più delle volte abitati. Niente di tutto questo in Terra Santa. Il castello di Ajlun è esattamente ciò per cui fu costruito: una fortezza per presidiare un’area in tempo di guerra. Finita la guerra, svaniti i pericoli, non serviva più, nessuno ha mai pensato di trasformala in una residenza nobiliare. E quindi fu progressivamente abbandonata e lasciata all’inclemenza degli elementi. Inoltre, fu parzialmente distrutto dai Mongoli nel 1260, ma venne rapidamente ricostruito e rinforzato dai Mamelucchi.
Il castello di Ajlun, quindi, non è nel suo stato di salute migliore, va bene, però, negli ultimi anni ha visto un intensificarsi degli interventi di messa in sicurezza e restauro allo scopo di migliorarne la fruibilità da parte dei turisti. Grazie a queste opere oggi è possibile visitare la fortezza con relativa tranquillità e in tutta sicurezza.
Superata una curva con un magnifico belvedere sulla valle sottostante, la visita inizia, ovviamente, dall’attraversamento del fossato, che come per i castelli crociati, circondava quasi interamente le mura principali. E subito, nella prima sala, ecco apparire un plastico, molto ben realizzato, che raffigura il castello ai tempi della sua costruzione. Si notano subito i torrioni quadrati che svettavano sul resto delle fortificazioni; fornivano agli occupanti il massimo raggio di visibilità sui dintorni e oltre, affinché qualsiasi movimento nemico non passasse inosservato. Da queste torri, pare che si potessero accendere fuochi di segnalazione che, propagandosi di castello in castello, fossero in grado di comunicare una notizia da Damasco fino al Cairo!
L’interno dell’edificio è un dedalo di ambienti la cui funzione non è sempre del tutto chiara. Ci sono ampie sale con il soffitto a volta, stalle, alloggiamenti, corridoi che si propagano lungo la fascia interna delle mura. E molte scale, pure troppe! E’ tutto un sali e scendi in cui bisogna comunque fare i conti con gli altri turisti, molti dei quali sembrano apprezzare parecchio la comodità di sedersi sugli scalini per prendere fiato e stirare le gambe. Ciò provoca qualche ingorgo e notevoli rallentamenti, ma niente che possa guastare l’umore.
A parte quindi le sale di ricevimento, i magazzini, le cisterne per l’acqua e altre strutture necessarie per sostenere una lunga resistenza in caso di assedio, il castello di Ajlun non presenta particolari caratteristiche degne di nota. Ad eccezione della sua parte più elevata, il torrione angolare più alto rimasto in piedi, che si raggiunge seguendo un percorso stretto e tortuoso facendosi largo tra la folla che sale e che scende. Da qui è possibile ammirare – sempre che le centinaia di turisti impegnati a farsi selfie a raffica lo consentano – il panorama circostante. Che spazia su tutte e tre le valli sottostanti, e quindi offre una visione a 270 gradi tutto intorno.
E’ un panorama magnifico, per certi versi mozzafiato perché sembra di trovarsi in un luogo più elevato di quanto lo sia veramente. Le campagne appaiono tutte floride e ben tenute: si indovinano coltivazioni di olivi, alberi da frutta e mandorli, ma sono presenti anche vasti agrumeti e orti lussureggianti. E’ un paesaggio così familiare, per noi italiani e gente del sud, perché sembra davvero di trovarsi in Puglia o in Sicilia. E questo non fa che indurre alla riflessione che, in ogni latitudine, malgrado fedi e provenienze diverse, alla fine tutti lo stesso cibo coltiviamo e mangiamo.