A proposito degli attentati in Sri Lanka: una riflessione a posteriori

L’immagine di questo post mostra ciò che dovrebbe essere la norma in qualsiasi città del mondo. Un lungomare animato, in un giorno di festa, quando il sole cala all’orizzonte e le famiglie iniziano a confluire sul molo per sgranocchiare qualche spuntino e godersi lo spettacolo del tramonto. Un momento di semplice, pacata, gioiosa serenità comunitaria.

In alto volano gli aquiloni, i bambini si rincorrono nella piazza, i più temerari si spingono giù, oltre i frangiflutti, per mettere i piedi in acqua e sfidare la onde dell’Oceano Indiano… Famiglie cingalesi, cristiane, musulmane e tamil passeggiano avanti e indietro lungo la banchina scherzando, ridendo, mangiando schifezze, scattando selfie a raffica… Cosa c’è di strano in questa instantanea? Nulla. E’ ciò che ci si aspetta di trovare ovunque, perché è ciò che chiunque desidera fare una domenica sera insieme ai suoi cari e ai suoi amici.

Gli attentati di qualche giorno fa in Sri Lanka hanno messo in crisi questa visione edulcorata. Non ricordo di aver neppur lontanamente avuto sentore che ci fossero tensioni tra le varie comunità religiose del paese. Anzi, dappertutto ci veniva ripetuto, a volte in modo stranamente ossessivo, che i conflitti di un tempo erano superati, che adesso tutti vivevano in pace e in armonia. In un eloquente murales di Trincomalee tale ritrovata concordia nazionale era stata rappresentata in modo molto efficace, com immagini di concordia e di amore universale fino a pochi anni prima assolutamente impensabili.

Eppure, evidentemente, qualcosa covava sotto le ceneri delle guerre passate. La decennale contrapposizione tra cingalesi (buddisti) e tamil (induisti) non è stata superata del tutto. I Tamil, in Sri Lanka, rimangono ancora oggi, malgrado aperture e concessioni, l’ultima ruota del carro. I cristiani sono una minoranza cospicua e attiva, fin troppo affermata all’interno della società cingalese, e ciò proabilmente ha suscitato invidie e rancori. I buddisti stessi, in passato, non si sono fatti mancare atti di ostilità nei confronti di tamil e musulmani. Quest’ultimi, infine, appaiono sempre molto isolati, quasi ghettizzati, e non si sa bene se per volontà propria o per costrizione altrui.

Gli attentati a chiese e alberghi nel giorno di Pasqua sono il chiaro segnale che la pace non è l’ambizione primaria di qualche individuo o gruppo di persone in Sri Lanka. Trascorere tutti insieme il pomeriggio sul bellissimo lungomare di Colombo, a quanto pare, sembra suscitare più stizza e risentimento che sentimenti di concordia e armonia. Non ho alcun argomento per rovesciare tale visione. Se uno odia, non c’è nulla che può convincerlo a desistere. Isolarlo, trattarlo come lo scemo del villaggio, come probabilmente sarà avvenuto all’inizio, non farà altro che incattivirlo e spingerlo sempre più oltre, verso l’abisso della propria e altrui distruzione.

Mi auguro che il popolo cingalese sappia ricomporre questo momento di lacerazione senza abbandonarsi alle soluzioni più facili e pericolose. Il nemico non è il musulmano della porta accanto, lo stesso che frequenti al parco la domenica o alla partita di cricket. Lui non vuole altro che continuare ad andare al parco e continuare a guardare interminabili e noiosissime partite di cricket, esattamente come il cristiano e il buddista.

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