La fitta e opprimente nebbia di Xian nel 2010

Xian è una meta obbligata all’interno di quello che potremmo definire il “tour classico” della Cina. Si tratta di una città importante, con un grande passato e un ancora più luminoso futuro (industriale). Tuttavia, malgrado parecchie attrazioni interessanti, è universalmente conosciuta sopratutto per essere il luogo in cui è stato scoperto il sito archeologico più straordinario del ventesimo secolo: l’esercito di terracotta. Tale indiscussa e imprescindibile meraviglia attira come mosche i turisti e riempe gli alberghi della città praticamente tutto l’anno.

Questo è quanto succede oggi. Nel 2010, all’epoca della mia visita, Xian non era ancora quel polo turistico, con annessi e connessi, che è diventato poi. L’esercito di terracotta era stato aperto al pubblico solo da alcuni anni e non tutti, allora, potevano permettersi di viaggiare liberamente per la Cina come facevamo noi. Inoltre, la città stessa non sembrava all’altezza del suo prestigio turistico. Gli alberghi, almeno quelli reperibili su Booking.com, erano decisamente pochi rispetto alla dimensione urbana. I trasporti pubblici ancora poco sviluppati, a parte gli immancabili taxi. Insomma, Xian nel 2010 non era ancora attrezzata al ruolo che la storia – e l’economia – le avevano affibbiato.

Personalmente, Xian non mi ha lasciato un ricordo positivo. Ma per alcune ore non sono riuscito a focalizzare cosa mi desse fastidio. Una volta arrivati in albergo, che si trovava all’interno delle mura quadrangolari (come è tipico delle antiche città cinesi), ho avvertito una sensazione di disagio e sofferenza che non provavo da anni. Non riuscivo a spiegarmi cos’era, e più mi arrovellavo il cervello per capire, meno intravedevo la soluzione. Mi è bastato salire sulla terrazza dell’hotel, per ammirare il panorama, per capire improvvismante di che si trattava.

L’immagine di questo post non avrebbe bisogno di ulteriori spiegazioni. La città, alle sei del pomeriggio di quel lontano agosto 2010, si presentava così: un enorme ammasso di casermoni e radi grattacieli immersi nella nebbia. Una nebbia scura, sporca, puzzolente. Tale vista mi ha sorpreso, e per molti minuti ho faticato a credere che si trattasse di inquinamento. Pensavo ad una percentuale altissima di umidità nell’aria. Non ero ancora abituato a trovarmi circondato da questa famigerata nebbia giallastra che caratterizza quasi tutte le grandi città cinesi… D’altronde qualche giorno prima, a Pechino, avevamo trovato un tempo splendido, uno dei rari momenti in cui il vento del nord, proveniente dalla Mongolia e dalla Siberia, spazza via ogni sporcizia.

Quel pomeriggio, insomma, è stato il mio “battesimo della nebbia cinese”. E subito mi è balenato un ricordo lontanissimo, quasi perduto nel passato della mia infanzia. L’odore che si avvertiva ovunque era aspro, acre, simile a quello di plastica che brucia. Lo stesso che sentivo a Torino, negli anni Settanta, quando mi recavo in visita ai miei parenti. Il risultato dell’industrializzazione senza controlli di una volta. Ed è incredibile come il mio cervello abbia realizzato questa associazione di ricordi lontanissimi sollecitato solo da un odore!

Nel giro di qualche ora la sensazione di oppressione è divenuta quasi insopportabile. Sembrava di camminare all’interno di una marmitta d’automobile d’epoca. E’ bastato fare una passeggiata di un’ora nel mercato locale per avvertire i primi sintomi di quel vago e fastidioso malessere che ti prende quando respiri aria inquinata. Con la scoperta finale più inquietante: trovare le narici piene di fuliggine appiccicata ai peli del naso!

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