I mosaici di Madaba: una breve guida per vederli (quasi) tutti

Madaba è conosciuta in tutto il mondo come “la città dei mosaici“. Definizione più che appropriata, dal momento che questa forma d’arte, iniziata 2000 anni fa, ancora oggi è una delle manifestazioni più originali dell’artigianato locale. E’ così importante da aver dato vita perfino a una scuola, molto prestigiosa, in cui si insegna ai ragazzi come realizzare mosaici perfetti, sia pavimentali che da parete, di tutte le dimensioni e adatti a qualsiasi evento o collocazione.

Che il mosaico sia la manifestazione artistica più diffusa è evidente non appena si mette piede a Madaba. E’ praticamente impossibile non scorgerne uno in qualche angolo della città o nei locali pubblici o all’interno delle case private (per non parlare dei negozi di souvenirs). I due filoni più seguiti sono quello di tipo classico, caratterizzato dalla rappresentazione di soggetti sacri, legati al Nuovo Testamento; e quello di derivazione omayyade, storicamente più recente, tipico per i suoi eleganti elementi geometrici. Oggi i soggetti più utilizzati sono le nature morte, i paesaggi, i ritratti, le scene di vita domestica. Il mosaico, in tutte le sue declinazioni, è insomma un elemento distintivo della cultura cittadina, e rende Madaba così diversa e speciale rispetto a tante altre destinazioni giordane con maggiore vocazione turistica.

Un mosaico moderno nell’androne di una palazzina privata

Naturalmente i mosaici più preziosi sono quelli più antichi. Che risalgono in gran parte al primo periodo della occupazione romana e al successivo dominio bizantino, durato più di 4 secoli. In questo periodo, la Giordania e in genere ogni altro luogo della Palestina, fu il centro di una vivace quanto straordinaria vita economica e culturale, che diede vita a numerosi capolavori, disseminati un po’ dappertutto e ancora oggi facilmente raggiungibili. Case, palazzi, chiese, basiliche, le successive prime moschee… Un patrimonio senza rivali.

Tra tutti i mosaici presenti a Madaba, un posto di rilievo lo hanno quelli di epoca romana e bizantina. Si possono ammirare in vari luoghi, anche piuttosto imprevedibili, ma due sono le mete da non perdere, se si è appassionati di questa raffinata forma d’arte: i due parchi archeologici, convenzionalmente chiamati I e II. Si tratta di due zone distinte, non particolarmente vaste, in cui è possibile ammirare resti, appartenenti a varie epoche, che sono stati riportati alla luce in tempi successivi e i cui scavi, a tutt’oggi, non sono ancora terminati. Rappresentano uno spaccato fedele e impressionante di ciò che doveva essere Madaba in uno dei periodi forse più fecondi della sua storia, quella a cavallo della dominazione romano-bizantina e la successiva conquista araba. Il tutto interrotto, direi in modo definitivo, dal terremoto del 747 che ha ridotto la città a un modesto centro quasi spopolato.

I due parchi si trovano praticamente uno di fronte all’altro e sono divisi solo da una strada. L’ingresso è compreso nel Jordan Pass. Volendo, è possibile affidarsi ad una guida che ti conduce tra le rovine e ti spiega, direi in modo piuttosto competente, ciò che a prima vista risulta indecifrabile. La maggior parte di queste guide sono ufficiali e – cosa non di poco conto – sono giovani donne che parlano un ottimo inglese.

Parco archeologico I

Il parco archeologico I comprende al suo interno: una esposizione di mosaici antichi (primo e secondo secolo dopo Cristo), la Sala di Ippolito, la Chiesa della Vergine Maria, la Cripta di Sant’Eliano, una strada romana perfettamente conservata, l’Istituto per l’Arte del Mosaico e Restauro di Madaba di cui si parlava all’inizio.

I mosaici più antichi sono quelli provenienti dalla Fortezza di Macheronte, una località poco distante da Madaba in cui – si dice – Giovanni Battista fu decapitato. Sono esposti in verticale, come quadri, al riparo dagli elementi sotto un ombroso porticato di epoca araba, ma in origine decoravano i pavimenti delle sale del palazzo di Erode Antipa.

Seguendo il percorso guidato, che si snoda attraverso passarelle sopraelevate, si arriva ad un edificio moderno ricavato tra le mura di quella che sembra un’antica chiesa. Al suo interno troviamo un complesso di edifici, la Sala di Ippolito e la Chiesa della Vergine Maria, disposti uno accanto all’altro. La Sala di Ippolito è una villa bizantina dell’inizio del VI secolo, e ciò che la rende famosa è il mosaico dell’androne principale, uno dei più spettacolari che si possano trovare a Madaba.

Questo mosaico (riprodotto anche nella immagine di copertina di questo post) è particolarmente interessante perché, pur essendo stato realizzato in epoca oramai indiscutibilmente cristiana, mostra motivi classicheggianti, come le figure di Fedra e Ippolito, nonché le Tre Grazie (le figlie di Zeus: gioia, fascino e bellezza) e Afrodite – colta mentre sculaccia un amorino biricchino. Una scelta artistica che lascia un po’ disorientati ma che testimonia, una volta di più, quanto la cultura classica fosse radicata anche in un periodo di profonda religiosità cristiana.

La Chiesa della Vergine Maria, originariamente costruita alla fine del VI secolo immediatamente a ridosso della Sala, contiene uno squisito mosaico, ben conservato, con iscrizioni e disegni geometrici, realizzato durante il periodo omayyade, quando la chiesa fu restaurata. La chiesa è dotata di vestibolo interno, navata circolare e presbiterio allungato e absidato, sostenuto da due ambienti sotterranei con volta a botte. Il sito è facilmente osservabile grazie ad un percorso sopraelevato che costeggia i muri dell’edificio moderno. In questo modo è possibile ammirare i mosaici pavimentali dall’alto, da svariate angolazioni, senza dover ad ogni costo scendere giù e calpestarli.

Parco archeologico II

Veduta d’insieme del parco archeologico II

Altro complesso estremamente interessante è il Parco archeologico II, situato poco distante dal primo. Anche qui l’ingresso è gratuito con il Jordan Pass. Il sito è famoso per due eccezionali vestigia del patrimonio culturale di Madaba: i mosaici del Palazzo Bruciato, residenza bizantina della fine del VI, inizio del VII secolo, andato distrutto probabilmente durante il terremoto del 747. E la Chiesa dei Santi Martiri, chiamata dalla gente del posto Chiesa di al-Khadir, una basilica del VI secolo con un grande pavimento a mosaico.

Il Palazzo Bruciato, in particolare, è senza dubbio degno della massima attenzione, ma solo per gli occhi allenati di un esperto o di un archeologo provetto. Per tutti gli altri – me compreso – è stato piuttosto complicato riuscire a capire esattamente cosa stavo osservando. L’area in effetti è ben tenuta ed è possibile percorrrerla in lungo e largo su apposite passarelle sopraelevate, però a prima vista non sembra offrire particolari motivi per entusiasmarsi. Ci troviamo di fronte ai resti di una lussuosa residenza bizantina, con stanze e corridoi, portici e cortili esterni, edificata tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, molto probabilmente per il sacerdote della vicina Chiesa dei Martiri. Tuttavia, a parte i notevoli mosaici che emergono tra una stanza e l’altra, non ci sono altri elementi degni di nota.

Al contrario, la Chiesa dei Santi Martiri, situata sotto una struttura coperta poco distante, è davvero interessante. Realizzata utilizzando colonne e strutture di preesistenti edifici romani, la basilica mostra un impianto a tre navate e un presbiterio con abside rialzato. Ma l’elemento che attira maggiormente la curiosità dei visitatori è il mosaico pavimentale, egregiamente osservabile dall’alto di una passerella che percorre le pareti lunghe della chiesa. Questo mosaico, come si vede in foto, appare irrimediabilmente danneggiato, ma ciò non è dovuto all’azione di qualche vandalo conquistatore o dei fanatismi religiosi. Osservando meglio, infatti, si nota che le immagini più rovinate sono quelle che rappresentano uomini e animali.

Si tratta in sostanza di una delle rare prove sopravvissute della cosiddetta lotta iconoclasta, ovvero quel periodo storico, a cavallo tra l’VIII e il IX secolo, in cui prevalse una visione nettamente contraria al culto delle immagini nella religione. Questa tesi, sostenuta con fin troppa energia e severità dal primo imperatore che la abbracciò, Leone III Isaurico, portò alla distruzione di icone, reliquie e oggetti sacri in tutti i territori dell’impero, compresa la Siria-Palestina. Ciò comportò, come si vede in foto, anche il danneggiamento di opere d’arte dove tutt’al più venivano raffigurate immagini di uomini intenti al lavoro quotidiano e innoque figure di animali domestici e selvatici. Ma tant’è: la furia iconoclasta non risparmiò neppure questi capolavori preesistenti…

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