Vientiane, capitale a misura d’uomo

La prima tappa del nostro breve viaggio in Laos prevedeva una sosta doverosa a Vientiane, la capitale. Questa città – o bisognerebbe definirla forse una cittadina – è talmente piccola e raccolta che si può percorrere tranquillamente a piedi o al massimo in bicicletta. Per i turisti rappresenta quindi una pacchia.

E’ un luogo tranquillo, privo di qualsiasi elemento che la possa caratterizzare come una capitale: non ci sono grattacieli, né strade a più corsie o enormi centri commerciali. La sua popolazione è ridotta, poco appariscente, indaffarata sopratutto nelle attività di commercio e nei mercati della zona. Il silenzio domina quasi dappertutto, disturbato solo dal gracchiare di gazze e uccelli vari o dai suoni che provengono dai suoi tanti monasteri. E’ un luogo inaspettatamente a misura d’uomo, e questo è il primo ma non ultimo di una serie di lati positivi che rendono Vientiane un luogo da visitare a ogni costo.

Un lungofiume delizioso

Adagiata lungo il corso del Mekong, direttamente di fronte alla Thailandia, Vientiane possiede un ampio lungofiume; il giorno è quasi deserto, la sera diventa la passeggiata ufficiale di laotiani e probabilmente l’unico vero divertimento che la città offre gratuitamente. Qui come nel resto del paese, il turista scopre una serenità e una semplicità di vivere che non ha mai conosciuto prima – o di cui ormai si è dimenticato. L’atmosfera dominante, tra danze collettive, bancarelle di dolciumi, cibo da strada, gruppi di giovani vestiti all’occidentale, karaoke, è del tutto simile a quella di certi nostri paesi: semplicità, gioia di vivere, rispetto reciproco; e mai una voce più acuta delle altre.

La cosa più sorprendente, specie se raffrontata alla realtà thailandese, è che nessuno ti dedica più attenzione di quanto meriti. La gente ti sorride, ti saluta perfino, ma sempre con atteggiamento gentile e un tantino timido. A nessuno viene in mente di darti fastidio, venderti qualcosa che non hai richiesto, offrirti servizi di cui non hai bisogno. Entri un bar, ti metti in fila composta come i locali, aspetti il tuo turno per ordinare e pagare. Sei uno dei tanti, e questo non fa altro che renderti la serata ancora più piacevole e rilassata.

Nel lontano 2013 ciò che mi colpì fu la grande diffusione di gruppi musicali improvvisati che si esibivano praticamente ad ogni angolo e in ogni locale all’aperto. In pratica, ovunque ti giravi, potevi vedere tre o quattro individui che suonavano le loro chitarre, utilizzando la poca amplificazione che il gestore poteva offrire; altra caratteristica comune era la mancanza assoluta di percussioni ortodosse, sostituite spesso da bonghi improvvisati se non addirittura da contenitori di metallo rovesciati. Eppure, malgrado la pochezza delle risorse, questi ragazzi erano davvero bravi e sapevano interpretare in modo perfetto – e devo dire molto personale – le canzoni famose del repertorio anglo-americano degli anni ’70 e ’80.

Una cittadina globalizzata

Il clima è quello da località di villeggiatura italiana, possibilmente a fine estate. I turisti, dopo aver cenato nei non molti ristoranti della zona, si riversano nelle piazze vicine al lungofiume per godersi la serata, bere una birra o un cocktail, passare il tempo in modo gradevole in attesa di andare a dormire. Esattamente ciò che farebbero in qualsiasi altra zona turistica della Grecia, della Turchia o dell’Italia del sud.

Nell’osservare questa situazione, mi è venuto in mente una riflessione illuminante. Forse è questo il lato positivo della globalizzazione: tutto il mondo si omologa, assume abitudini simili, lima i contrasti, sfuma le differenze di opinione. Ci troviamo così tutti a bere la stessa birra, a ballare le stesse canzoni, a usare lo stesso smartphone, a mangiare lo stesso cibo, a parlare la stessa lingua.

Ciò che mette in moto questo potente meccanismo di omogeneizzazione forzata è il mercato, è indubbio: l’esigenza di acquistare, vendere, negoziare, guadagnare, spinge la gente ad abbattere tutte le sovrastrutture inutili o dannose all’espansione della ricchezza. Con il risultato di livellare o addirittura eliminare le differenze dettate da cultura, religione, politica, tradizione. E’ un fenomeno naturale, a mio modo di vedere, accaduto diverse volte nel corso della storia dell’umanità. Si pensi alla globalizzazione romana, in Europa, o a quella dell’impero britannico, nel mondo, nel XIX secolo. Due casi che, a dispetto di molte conseguenze negative, hanno contribuito senz’altro al progresso della civiltà globale dell’intero pianeta.

 

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