Il complesso templare di Abu Simbel è talmente celebre da rendere inappropriato qualsiasi tentativo di descrizione da parte mia. Non avendo né le basi storiche, né quelle scientifiche per farlo, mi limito a rimandare chi sia interessato agli innumerevoli siti che se ne occupano. In quest post vorrei solo ad accennare al rapporto tra questa monumentale opera con un’altra, altrettanto titanica, che l’uomo ha realizzato 3 millenni dopo. Mi riferisco alla Grande Diga di Assuan, costruita negli anni Sessanta con l’intento di regolare definitivamente le piene del Nilo.
Con la costruzione della diga, le acque del Nilo avrebbero formato un vasto bacino artificiale, il lago Nasser, che avrebbe coperto una zona di oltre 500 chilometri. Questo progetto, fondamentale per l’economia egiziana, minacciava però diversi siti archeologici di inestimabile valore, tra cui Abu Simbel. L’innalzamento delle acque, infatti, avrebbe sommerso di parecchie decine di metri i monumenti, cancellandoli di fatto dalla storia. Se non si fosse intervenuti, i templi sarebbero stati perduti per sempre.
Pochi visitatori si rendono conto che ciò che hanno di fronte non è altro che una ricostruzione del XX secolo. D’altronde, niente fa pensare che l’intero complesso possa aver subito addirittura uno spostamento di 65 metri più in alto e di 200 metri più indietro rispetto alla posizione originale. Eppure è così: i due grandiosi templi dedicati a Ramsete II e alla sua regina preferita, Nefertari, non si trovano nel luogo in cui furono costruiti. Basta dare un’occhiata alle litografie dell’Ottocento per rendersene conto. Ciò che abbiamo di fronte, insomma, non è solo uno dei capolavori dell’arte monumentale egizia, ma è anche – e soprattutto – la manifestazione di una delle più straordinarie operazioni di conservazione del patrimonio storico mai realizzate.
Questa grande opera di ingegneria fu sollecitata da un appello all’UNESCO da parte di Egitto e Sudan, nazioni che condividevano i costi e i vantaggi della costruzione della diga. I due stati non possedevano né il know how, né la tecnologia giusta per salvare i templi. Questo diede il via a una delle più grandi campagne internazionali per la preservazione del patrimonio culturale, con il coinvolgimento di oltre 50 paesi (compresa l’Italia). Ma come poter salvare un complesso così grande, per di più addossato ad una collina calcarea, senza rischiare di rovinarlo? La soluzione fu: smontare e ricostruire i templi in un punto più alto, al riparo dall’innalzamento delle acque.
Questa operazione fu realizzata tra il 1964 e il 1968. La prima fase fu quella di studiare in dettaglio i due templi, mapparli e fotografarli per garantire che ogni pezzo potesse essere ricollocato esattamente nella sua posizione originale. In seguito furono tagliati in circa 1000 blocchi dal peso di circa 20-30 tonnellate ciascuno. Infine, i blocchi furono trasportati al nuovo sito, che era stato preparato per replicare l’ambiente originale, inclusa una collina artificiale dietro i templi. I blocchi furono quindi ricomposti seguendo il disegno originale.
La sfida più ardua, però, fu quella di replicare il fenomeno dell’illuminazione solare, un evento durante il quale, due volte all’anno (il 22 febbraio e il 22 ottobre), i raggi del sole penetrano fino al santuario interno del Tempio Maggiore, illuminando le statue di Ramses II e delle divinità Amon-Ra e Ra-Harakhty, ma lasciando quella di Ptah in ombra. Grazie a calcoli accurati, questo fenomeno fu conservato anche nel nuovo sito, sebbene con uno scarto di un solo giorno rispetto alle date originali.
Il trasferimento dei templi, completato in soli 4 anni, è considerato ancora oggi un capolavoro di ingegneria e conservazione del patrimonio culturale. Un esempio insuperato di ciò che l’archeologia è in grado di fare, quando convenientemente supportata dalla scienza. Il salvataggio di Abu Simbel é inoltre un chiaro simbolo che la cooperazione internazionale è il mezzo più efficace per affrontare e risolvere anche le sfide impossibili. Oggi, il complesso di Abu Simbel continua a essere uno dei luoghi più visitati in Egitto, non solo per la sua bellezza e il suo valore storico, ma anche – penso e spero – per la straordinaria storia del suo salvataggio.