La Umrah è il viaggio, sia fisico che spirituale, che compiono i pellegrini musulmani diretti a La Mecca. Si tratta in verità di un un pellegrinaggio minore, rispetto a quello che si chiama Hajj, che si svolge in un periodo specifico e dura parecchi giorni. La Umrah invece può essere effettuato in qualsiasi periodo dell’anno, non è obbligatoria, può ripetersi tutte le volte che si desidera e soprattutto, non obbliga il pellegrino a restare i 10 giorni canonici che caratterizzano invece il pellegrinaggio “maggiore”.
Milioni di pellegrini di ogni parte della terra, ogni anno, svolgono questo viaggio breve per La Mecca. Vengono in gran parte dai paesi a maggioranza musulmana, come Indonesia, Malesia, Pakistan, e tutti i paesi arabi circostanti. Atterrano a Jeddah, il luogo più vicino alla città santa e quindi il più attrezzato per ricevere grandi masse di persone. L’aeroporto di Jeddah, pertanto, negli ultimi anni si è ampliato in maniera considerevole e oggi è divenuto il maggior scalo del paese per i paesi del Sud Est asiatico.
Perchè ho fatto questa premessa? Presto detto. Ho avuto l’opportunità di viaggiare con questi pellegrini e devo dire che l’esperienza è stata davvero gratificante. Ho condiviso con loro sia il momento dell’arrivo in Arabia, sia quello della partenza, in questo caso per l’India, venendo a contatto con una realtà che non mi aspettavo minimamente. Insieme a questi pii pellegrini ho vissuto con loro le emozioni e le incertezze di un viaggio impegnativo, probabilmente costoso, ma affrontato con gentilezza, concordia, solidarietà e anche parecchia allegria. Racconto come è andata.
Il nostro viaggio in India prevedeva parecchi scali in Arabia Saudita, uno dei quali era proprio Jeddah. In due occasioni, pertanto, una volta all’andata e una al ritorno, abbiamo effettuato un volo internazionale su Jeddah. La prima volta (da Jeddah a Mumbai), ci siamo trovati al gate in compagnia di una folla di persone in gran parte vestita di bianco. Erano tutti indiani, lo si capiva dall’idioma e dal colore della pelle. Erano organizzati in gruppi alquanto numerosi, tra i quali spiccavano diversi nuclei familiari a loro volta composti da sei-sette persone, compresi nonni, zii e bambini. Non avevano molti bagagli, se non delle borse tutte uguali con il nome di un tour operator indiano.
Fra tutti, ho notato che alcuni uomini indossavano una semplice tunica bianca formata da due drappi che assomigliavano molto, per foggia e trama, a degli asciugamani da albergo. I primi così abbigliati li avevo visti al bagno, e la prima cosa che mi era venuta in mente era che probabilmente erano andati a fare una doccia da qualche parte. Dal momento che avevo già notato altre persone vestite così, ho pensato – ingenuamente – che l’aeroporto di Jeddah fornisse un servizio di docce molto efficiente e soprattutto ben apprezzato.
Figuratevi la mia sorpresa quando ho notato che questi individui sedevano accanto a me in aereo con indosso solo quella tunica! Altro che asciugamani, quello era un vestito vero e proprio. Avevo già capito che avremmo viaggiato con pellegrini musulmani di ritorno da La Mecca, questo sì, ma non avevo ancora realizzato che molti uomini compiono l’intero viaggio già abbigliati per il percorso sacro intorno alla Kaʿba, la pietra nera all’interno della moschea di La Mecca. La tunica, in effetti, è la Ihram, un abito composto da due semplici teli bianchi senza cuciture: uno viene avvolto attorno alla vita, coprendo il corpo dal girovita fino alle ginocchia, mentre l’altro è posizionato sulle spalle. Il fatto che lo indossassero sia all’andata che al ritorno mi ha fatto pensare che il loro soggiorno in Arabia sarebbe durato appena uno, al massimo due giorni.
E in effetti è così: la maggior parte di questi pellegrini acquista un pacchetto da un tour operator locale che assicura il viaggio in aereo, il trasferimento in autobus di andata e ritorno a La Mecca, l’ingresso alla grande moschea Masjid al-Haram, il ritorno in patria. Nient’altro. Il tutto si svolge in pochissime ore, per cui non serve doversi cambiare d’abito se proprio non si ha il tempo di farlo. Che il pellegrinaggio sia ridotto ai minimi termini lo testimonia anche il fatto che i partecipanti si portano appresso il cibo che mangeranno, contenuto in grandi ciotole di metallo appena in grado di smorzare il forte aroma di curry o masala che emanano. Si tratta quindi di una scappata e via, il massimo che ci si può permettere, costi alla mano.
Avendo condiviso con loro entrambe le tratte, ho notato però una atmosfera diversa tra l’andata e il ritorno del pellegrinaggio. Il viaggio verso l’Arabia viene affrontato – mi è parso – con maggiore compostezza e austerità. In aereo vige un clima severo, pacato, silenzioso. Gli uomini si impegnano nella lettura di un foglietto con parecchie righe in doppia lingua – indiano e arabo – probabilmente versetti del Corano. Le donne accudiscono i figli e si rinchiudono nella loro tradizionale riservatezza, per molte accentuata dal velo integrale che le protegge da sguardi indiscreti. Sembra quasi che tutti siano consapevoli del solenne momento che stanno vivendo, compresi i bambini più piccoli, e si comportano di conseguenza.
Il ritorno, al contrario, è tutta un’altra storia. Già dall’ingresso in aereo si capisce che il sentimento comune è il sollievo, la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere e quindi di essere perfettamente a posto con se stessi e gli altri. Sono tutti più allegri, espansivi, chiacchieroni… Io e mia moglie (che per inciso eravamo gli unici due occidentali in tutto l’aereo) siano stati subito coinvolti in questa atmosfera di gioia e soddisfazione. Alcuni ragazzi, i più giovani, si sono dimostrati particolarmente interessati a sapere da dove provenivamo. Un vecchio signore dalla barba bianca, appesantito dall’età e da una pancia fuori misura, ci ha perfino offerto un po’ del proprio riso biriyami! Insomma, abbiamo percepito che la Umrah non è solo un pellegrinaggio dalle forti motivazioni religiose, ma è anche una occasione di stare insieme, conoscersi, tessere nuove amicizie, tenere unite le famiglie, specie quelle numerose.
In prossimità dell’atterraggio, abbiamo assistito ad un fenomeno curioso: un continuo via vai per le cabine bagno dell’aereo da parte di molti uomini e ragazzi. La cosa mi ha un po’ inquietato, visto che non riuscivo a trovare un bagno libero per espletare le mie esigenze, però poi ho capito cosa succedeva. Ogni volta che un uomo vestito di bianco entrava in bagno ne usciva poco dopo abbigliato all’occidentale. Quasi tutti gli individui di sesso maschile di quel volo si sono disfatti dei loro abiti cerimoniali e in un attimo sono tornati a indossare ciò che vestivano tutti i giorni: le scarpe Nike, i jeans Levi’s e le t-shirt preferite. Peccato che non ho notato lo stesso fenomeno per le donne, che sono rimaste quasi tutte intrappolate nei loro lugubri manti neri, coperte fino alla punta delle scarpe, inaccessibili come e più di prima.