Uno dei simboli più affascinanti e controversi di Mumbai è il Dhobi Ghat, una gigantesca lavanderia all’aperto situata nel cuore della città. Non è ovviamente una lavanderia qualsiasi. E’ un sito che può essere considerato allo stesso tempo sconvolgente e affascinante, a seconda della propria disposizione d’animo. In qualche modo, possiamo dire che rappresenta una perfetta metafora di cosa sia oggi la società indiana.
La lavanderia non è l’unica della città, naturalmente, ma data la sua collocazione centrale, è divenuta una attrazione turistica a tutti gli effetti, che attira ogni giorno centinaia di persone. Tutte attratte dalla curiosità di osservare (ma solo dall’alto) come vivono e lavorano i lavandai di Mumbai, così indispensabili per il funzionamento della vita cittadina.
Fondato nel 1890 durante il periodo coloniale britannico, il Dhobi Ghat è nato per soddisfare le esigenze di pulizia prima degli occupanti, poi di tutta la città che cresceva in maniera impressionante. “Dhobi” è un termine che riguarda proprio i lavandai che, manco a dirlo, appartengono tutti alla stessa casta, probabilmente non una delle più elevate. “Ghat” invece significa letteralmente “passaggio” o “scala”, e forse si riferisce al fatto che, un tempo, i panni venivano lavati sulle tradizionali scalinate che conducono ai fiumi (sacri). Oggi il Dhobi Ghat è un labirinto di più di 700 vasche in cui lavorano migliaia di addetti. Ogni vasca è assegnata a una famiglia, e il lavoro viene trasmesso di generazione in generazione. Gli uomini e le donne che lavorano qui non solo lavano a mano i panni, ma li stirano, li ordinano e li consegnano ai clienti, che spaziano da alberghi di lusso a piccoli ristoranti e privati cittadini.
Il processo di lavaggio è un’opera di straordinaria logistica e organizzazione, specie se rapportato all’efficienza media indiana. I vestiti vengono presi ogni mattina da case e aziende di Mumbai attraverso un servizio di raccolta porta a porta. Subito dopo, i panni vengono marchiati con un sistema di codifica per evitare che si mescolino con altri capi, una necessità vitale vista la mole impressionante di lavoro da svolgere. Successivamente, i dhobi immergono i panni in grandi vasche d’acqua saponata, e li battono contro lastre di pietra per rimuovere le macchie più ostinate. Una volta lavati, i vestiti vengono appesi ad asciugare su grandi fili, che formano quel caratteristico paesaggio di tessuti multicolori che i turisti amano tanto fotografare (sempre dall’alto). Infine, i vestiti vengono stirati con grandi ferri da stiro riscaldati a carbone e riconsegnati ai clienti. Il ciclo così è concluso.
Di fronte a tale spettacolo sorgono delle inevitabili riflessioni. Come spesso succede di fronte a certe manifestazioni umane e sociali che ci lasciano perplessi (e in India avviene spesso). Ciò che osserviamo a Dhobi Ghat è indubbiamente uno stile di vita in grado di assicuare a mala pena la sopravvivenza. La vita di un dhobi appare davvero dura e le condizioni di lavoro rasentano la follia. Molti dhobi infatti lavorano dalle prime ore del mattino fino a sera inoltrata, spesso immersi nell’acqua per ore, a contatto con saponi chimici e altre porcherie che alla lunga rovinano la salute E lo fanno per un reddito che è appena in grado di sostenere una economia di mera sussistenza. Ciononostane, il legame con questa professione è radicato nella tradizione e nella comunità, e malgrado l’aumento di lavanderia automatiche e servizi analoghi, il Dhobi Ghat rimane un punto fermo per molte persone e aziende che continuano a preferire i servizi artigianali di lavaggio a mano.
La visita, dicevo, in genere si svolge tramite una guida, più o meno autorizzata. Che invariabilmente accompagna i turisti presso alcuni belvedere allo scopo di avere una visione la più completa possibile di cosa avviene più in basso. Andare sotto, inoltrarsi per gli stretti vicoli ombrosi che costituiscono il complesso, non è proibito, ma semplicemente sconsigliato. La guida stessa mostra quasi subito la propria disapprovazione ad una impresa del genere, giudicata inutile e poco opportuna. E lo fa capire in tutti i modi. In genere accampa motivi di sicurezza personale, descrivendo il luogo come un antro dedito al malaffare e al ladrocinio. Non è vero niente. La verità è che inoltrarsi dentro il labirinto sottostante è una vera perdita di tempo, e il tempo è denaro per gli accompagnatori di Mumbai.